Icona ucraina del XV secolo, villaggio Zdvyzhen, Museo Nazionale di Leopoli
La croce, nostra somma gloria
Ogni atto compiuto dal Cristo è una gloria della
Chiesa cattolica: gloria delle glorie è, però, la croce. Questo,
appunto, intendeva Paolo, nell'affermare: A me non avvenga mai di menar
vanto, se non nella croce di Cristo (Gal. 6,14). Suscita la nostra
ammirazione, certo, anche il miracolo in seguito al quale il cieco dalla
nascita riacquistò, a Siloe, la vista (cf. Gv. 9, 7 ss.): ma cosa è un
cieco di fronte ai ciechi di tutto il mondo? Straordinaria, e
soprannaturale, la risurrezione di Lazzaro, morto già da quattro giorni
(cf. Cv. 11, 39). Una grazia del genere, tuttavia, è toccata ad uno
soltanto: che beneficio ne avrebbero tratto quanti, nel mondo intero,
erano morti per i loro peccati? (cf. Ef. 2, 1). Strepitoso il fatto che
cinque pani riuscirono a sfamare cinquemila persone (cf. Mt. 14,21): ma a
che cosa sarebbe servito, se pensiamo a coloro che, su tutta la terra,
erano tormentati dalla fame dell'ignoranza? (cf. Am. 8, 11).
Stupefacente, ancora, la liberazione della donna, in preda a Satana da
diciotto anni (cf. Lc. 13, 11 ss.): che importanza avrebbe avuto, però,
per tutti noi, imprigionati dalle catene dei nostri peccati? (cf. Prov, 5
22).
La gloria della croce, invece, ha illuminato chi era
accecato dall'ignoranza, liberando tutti coloro che erano prigionieri
del peccato e portando la redenzione all'intera umanità.
Non devi meravigliarti, poi, del fatto che l'universo
sia stato redento nella sua totalità: non era invero un uomo come tutti
gli altri colui che morì per esso, ma si trattò del Figlio unigenito di
Dio (benché fosse bastato il peccato di un solo uomo, Adamo, ad
introdurre la morte nel mondo). Ebbene, dal momento che la morte ha
preso a regnare sul mondo in seguito alla colpa d'uno solo (cf. Rom.
5,17), perché, a più forte ragione, non dovrebbe regnare la vita, in
virtù della giustizia d'un'unica persona? E se allora, a causa del legno
del quale si cibarono, vennero scacciati dal paradiso (cf. Gen. 3,
22-23), tanto più adesso, grazie al legno di Gesù, non vi faranno forse
il loro ingresso i credenti? Se il primo uomo, che era fatto di terra,
fu la causa della morte universale, colui che lo plasmò dalla terra (cf.
Gen. 2, 7), essendo egli stesso la vita (cf . Gv. 14, 6), non potrà
forse esser fonte di vita eterna? Se Finees, sospinto dal proprio zelo,
placò l'ira divina uccidendo l'autore dell'atto oltraggioso (cf. Num.
25, 8-11); Gesù, senza uccidere nessun altro, ma offrendo se stesso come
riscatto (cf. 1 Tim. 2, 6), non farà forse sparire la collera verso gli
uomini?
Non vergogniamoci, dunque, della croce del Salvatore,
ma, anzi, vantiamocene! Il linguaggio della croce, infatti, è scandalo
per i giudei e follia per i gentili (1 Cor. 1, 18.23): per noi, invece,
significa salvezza. E stoltezza per coloro che si perdono, per noi, al
contrario, che ci salviamo, è potenza di Dio (1 Cor. 1, 18). Infatti,
come abbiamo già detto, non toccava ad un uomo come gli altri di morire
per noi, bensì al Figlio di Dio, Dio egli stesso fattosi uomo. Un tempo
l'agnello ucciso per ordine di Mosè tenne lontano lo sterminatore (cf.
Es. 12, 23); l'Agnello di Dio, che cancella i peccati del mondo (cf. Cv.
1, 29), non ha recato adesso, a più forte ragione, la liberazione dal
peccato? Se, poi, il sangue di un agnello privo d'intelletto ha prodotto
la salvezza, quanto più la procurerà il sangue dell'Unigenito?
Cirillo di Gerusalemme, Catechesi battesimali, 13,1-3
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