sabato 25 aprile 2020

Olena Kulchytska, Gailky


Olena Kulchytska
КУЛЬЧИЦЬКА ОЛЕНА ЛЬВІВНА
(1877-1967)

 Gailky, grafica   
 Cartolina pasquale



 



Ivan Trush, Gailky


Ivan Trush 
(1869-1941)

  Ivan Trush, celebre pittore, maestro del paesaggio e del ritratto, esponente dell'impressionismo ucraino. Aveva vivo interesse verso la cultura etnografica ucraina, in particolare di Carpaci.

Gailky*





Gailky, gli anni 1920-i


Gailky, gli anni 1920-i







Gailky, gli anni 1920-i 

 Ivan Trush, Gagilky, 1921 



  Gailky, gaivky - i canti e le danze rituali che si cantano e ballano durante le feste del periodo pasquale in Ucraina Occidentale  

sull'argomento vedi: Брик І. Гаївки у Львові // Життя і Знання. 1927. № 8. С. 237-239 
 https://archive.org/stream/slovnyksymvoliv#page/n111/mode/2up
 https://archive.org/stream/kylymnyk2#page/n161/mode/2up
 https://archive.org/stream/literaturoznavchat1#page/n209/mode/2up
 https://archive.org/details/iahilky51ukran00mykhuoft/page/n4/mode/2up
 https://archive.org/stream/literaturoznavchat2#page/n229/mode/2up
 https://culture.pl/ru/article/gaivki-u-lvovi-poglyad-kriz-chas
 https://risu.org.ua/ua/library/text/hayivky/35092/
 https://risu.org.ua/ua/library/text/hayivky/41961/
 https://risu.org.ua/ua/library/text/hayivky/41960/
https://risu.org.ua/ua/library/text/hayivky/35098/
  

sabato 18 aprile 2020

La discesa agli inferi del Signore


 
La discesa agli inferi del Signore
 


"Che cosa è avvenuto? Oggi sulla terra c'è grande silenzio, grande silenzio e solitudine. Grande silenzio perché il Re dorme: la terra è rimasta sbigottita e tace perché il Dio fatto carne si è addormentato e ha svegliato coloro che da secoli dormivano. Dio è morto nella carne ed è sceso a scuotere il regno degli inferi.
  Certo egli va a cercare il primo padre, come la pecorella smarrita. Egli vuole scendere a visitare quelli che siedono nelle tenebre e nell'ombra di morte. Dio e il Figlio suo vanno a liberare dalle sofferenze Adamo ed Eva che si trovano in prigione.
   Il Signore entrò da loro portando le armi vittoriose della croce. Appena Adamo, il progenitore, lo vide, percuotendosi il petto per la meraviglia, gridò a tutti e disse: « Sia con tutti il mio Signore ». E Cristo rispondendo disse ad Adamo: « E con il tuo spirito ». E, presolo per mano, lo scosse, dicendo: "Svegliati, tu che dormi, e risorgi dai morti, e Cristo ti illuminerà.
   Io sono il tuo Dio, che per te sono diventato tuo figlio; che per te e per questi, che da te hanno avuto origine, ora parlo e nella mia potenza ordino a coloro che erano in carcere: Uscite! A coloro che erano nelle tenebre: Siate illuminati! A coloro che erano morti: Risorgete! A te comando: Svegliati, tu che dormi! Infatti non ti ho creato perché rimanessi prigioniero nell'inferno. Risorgi dai morti. Io sono la vita dei morti. Risorgi, opera delle mie mani! Risorgi mia effige, fatta a mia immagine! Risorgi, usciamo di qui! Tu in me e io in te siamo infatti un'unica e indivisa natura.

   Per te io, tuo Dio, mi sono fatto tuo figlio. Per te io, il Signore, ho rivestito la tua natura di servo. Per te, io che sto al di sopra dei cieli, sono venuto sulla terra e al di sotto della terra. Per te uomo ho condiviso la debolezza umana, ma poi son diventato libero tra i morti. Per te, che sei uscito dal giardino del paradiso terrestre, sono stato tradito in un giardino e dato in mano ai Giudei, e in un giardino sono stato messo in croce. Guarda sulla mia faccia gli sputi che io ricevetti per te, per poterti restituire a quel primo soffio vitale. Guarda sulle mie guance gli schiaffi, sopportati per rifare a mia immagine la tua bellezza perduta.
    Guarda sul mio dorso la flagellazione subita per liberare le tue spalle dal peso dei tuoi peccati. 
 
Dall'Omelia sul Sabato Santo, PG 43, 439, 451, 462-463.


Orazione
O Dio eterno e onnipotente, che ci concedi di celebrare il mistero del Figlio tuo Unigenito disceso nelle viscere della terra, fa' che sepolti con lui nel battesimo, risorgiamo con lui nella gloria della risurrezione. Egli è Dio, e vive e regna con te, nell'unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.


 http://www.vatican.va/spirit/documents/spirit_20010414_omelia-sabato-santo_it.html

La cartolina pasquale di Petro Andrusiv

LA DISCESA DI GESÙ AGLI INFERI



LA DISCESA DI GESÙ AGLI INFERI
 
 
 
L'icona ucraina del XV secolo, villaggio Poliana, 
Museo Nazionale di Leopoli 

      

Anonimo del IV sec. 
Le «Homélies diverses» da cui è tratto il brano seguente, figurano a torto nella Patrologia greca sotto il nome di Sant'Epifania. In numero consistente sono entrate a far parte delle letterature orientali.

  Oggi un grande silenzio avvolge la terra. Un grande silenzio ed una grande calma. Un grande silenzio. perché il Re dorme. La terra ha rabbrividito e si è ammutolita, perché Dio si è addormentato nella carne, e l'inferno ha tremato. Dio si è addormentato per un istante, e ha svegliato coloro che erano negl'inferi... Va alla ricerca dell'uomo come della pecorella smarrita. Vuole assolutamente visitare quei che giacciono nelle tenebre e nell'ombra di morte (Le. 1, 79). Va a liberare dalla loro prigione e dalle loro pene Adama ed Eva, Lui che è al tempo stesso Dio e figlio di Eva... Prende per mano l'uomo e gli dice:
   «Svegliati, o tu che dormi, sorgi fra i morti e Cristo t'illuminerà. (Ef. 5, 14). lo sono il tuo Dio, per te sono divenuto figlio tuo, e ho il potere di dire a te ed ai tuoi discendenti incatenati: uscite. A coloro che si trovano nelle tenebre, io dico: ecco la luce; ed a coloro che sono coricati: alzatevi. A te dico: «Svegliati, o tu che dormi», dal momento che non ti ho creato per farti restare incatenato. «Sorgi tra i morti", perché io sono la vita dei morti. Sorgi, opera delle mie mani; alzati o mia immagine, tu che sei stato creato a mia somiglianza. Sorgi, partiamocene da qui, perché tu sei in me ed io in te; noi formiamo un unico volto indivisibile.
   «Per te, io che sono Dio, sono divenuto tuo figlio. Per te, io, tuo Signore, ho preso la tua forma di servo. Per te, io che sto al di sopra dei cieli, sono disceso sulla terra, e perfino al di sotto della terra. Per te, o uomo, sono diventato come Un uomo sfinito, che troverà scampo soltanto fra i morti (Sal. 87, 5-6; LXX). Per te che sei uscito da un giardino, sono stato consegnato ai Giudei in un giardino e crocifisso in un giardino. Guarda sul mio viso gli sputi che ho ricevuto per restituire a te il tuo primo alito. Osserva sulle mie guance gli schiaffi che ho ricevuto per creare di nuovo le tue sembianze a mia immagine. Guarda sul mio dorso i colpi di frusta con cui sono stato colpito per liberare il tuo corpo dal peso dei tuoi peccati. Osserva le mie mani inchiodate alla croce per te che tendesti la mano verso l'albero.
    «Alzati. andiamocene da qui. Il nemico ti ha fatto uscire dal paradiso terrestre; io sto per introdurti non più in quel paradiso. ma in cielo. Un tempo ti vietai l'accesso all'albero della vita; ma io stesso sono la vita, ed ora a te mi unisco»

 Omelie per il Sabato Santo, PG 43, 349, 451, 462-463.
 

 L'inizio del XVI secolo, Volyn'
 
 

Celebrazione della Parola e venerazione della Sindone, GIOVANNI PAOLO II




 

VISITA PASTORALE
DI SUA SANTITÀ GIOVANNI PAOLO II
A VERCELLI E TORINO (23-24 MAGGIO 1998)

CELEBRAZIONE DELLA PAROLA E VENERAZIONE DELLA SINDONE
DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
Domenica, 24 maggio 1998 
  
   
     Carissimi Fratelli e Sorelle!
   1. Con lo sguardo rivolto alla Sindone, desidero salutare cordialmente tutti voi, fedeli della Chiesa torinese. Saluto i pellegrini che durante il periodo di questa ostensione vengono da ogni parte del mondo per contemplare uno dei segni più sconvolgenti dell'amore sofferente del Redentore.
Entrando nel Duomo, che mostra ancora le ferite prodotte dal terribile incendio di un anno fa, mi sono fermato in adorazione davanti all'Eucaristia, il Sacramento che sta al centro delle attenzioni della Chiesa e che, sotto apparenze umili, custodisce la presenza vera, reale e sostanziale di Cristo. Alla luce della presenza di Cristo in mezzo a noi, ho sostato poi davanti alla Sindone, il prezioso Lino che può esserci di aiuto per meglio capire il mistero dell'amore del Figlio di Dio per noi.
Davanti alla Sindone, immagine intensa e struggente di uno strazio inenarrabile, desidero rendere grazie al Signore per questo dono singolare, che domanda al credente attenzione amorosa e disponibilità piena alla sequela del Signore.
    2. La Sindone è provocazione all'intelligenza. Essa richiede innanzitutto l'impegno di ogni uomo, in particolare del ricercatore, per cogliere con umiltà il messaggio profondo inviato alla sua ragione ed alla sua vita. Il fascino misterioso esercitato dalla Sindone spinge a formulare domande sul rapporto tra il sacro Lino e la vicenda storica di Gesù. Non trattandosi di una materia di fede, la Chiesa non ha competenza specifica per pronunciarsi su tali questioni. Essa affida agli scienziati il compito di continuare ad indagare per giungere a trovare risposte adeguate agli interrogativi connessi con questo Lenzuolo che, secondo la tradizione, avrebbe avvolto il corpo del nostro Redentore quando fu deposto dalla croce. La Chiesa esorta ad affrontare lo studio della Sindone senza posizioni precostituite, che diano per scontati risultati che tali non sono; li invita ad agire con libertà interiore e premuroso rispetto sia della metodologia scientifica sia della sensibilità dei credenti.
    3. Ciò che soprattutto conta per il credente è che la Sindone è specchio del Vangelo. In effetti, se si riflette sul sacro Lino, non si può prescindere dalla considerazione che l'immagine in esso presente ha un rapporto così profondo con quanto i Vangeli raccontano della passione e morte di Gesù che ogni uomo sensibile si sente interiormente toccato e commosso nel contemplarla. Chi ad essa si avvicina è, altresì, consapevole che la Sindone non arresta in sé il cuore della gente, ma rimanda a Colui al cui servizio la Provvidenza amorosa del Padre l'ha posta. Pertanto, è giusto nutrire la consapevolezza della preziosità di questa immagine, che tutti vedono e nessuno per ora può spiegare. Per ogni persona pensosa essa è motivo di riflessioni profonde, che possono giungere a coinvolgere la vita.
La Sindone costituisce così un segno veramente singolare che rimanda a Gesù, la Parola vera del Padre, ed invita a modellare la propria esistenza su quella di Colui che ha dato se stesso per noi.
   4. Nella Sindone si riflette l'immagine della sofferenza umana. Essa ricorda all'uomo moderno, spesso distratto dal benessere e dalle conquiste tecnologiche, il dramma di tanti fratelli, e lo invita ad interrogarsi sul mistero del dolore per approfondirne le cause. L'impronta del corpo martoriato del Crocifisso, testimoniando la tremenda capacità dell'uomo di procurare dolore e morte ai suoi simili, si pone come l'icona della sofferenza dell'innocente di tutti i tempi: delle innumerevoli tragedie che hanno segnato la storia passata, e dei drammi che continuano a consumarsi nel mondo.
Davanti alla Sindone, come non pensare ai milioni di uomini che muoiono di fame, agli orrori perpetrati nelle tante guerre che insanguinano le Nazioni, allo sfruttamento brutale di donne e bambini, ai milioni di esseri umani che vivono di stenti e di umiliazioni ai margini delle metropoli, specialmente nei Paesi in via di sviluppo? Come non ricordare con smarrimento e pietà quanti non possono godere degli elementari diritti civili, le vittime della tortura e del terrorismo, gli schiavi di organizzazioni criminali?
Evocando tali drammatiche situazioni, la Sindone non solo ci spinge ad uscire dal nostro egoismo, ma ci porta a scoprire il mistero del dolore che, santificato dal sacrificio di Cristo, genera salvezza per l'intera umanità.
   5. La Sindone è anche immagine dell'amore di Dio, oltre che del peccato dell'uomo. Essa invita a riscoprire la causa ultima della morte redentrice di Gesù. Nell'incommensurabile sofferenza da essa documentata, l'amore di Colui che "ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito" (Gv 3,16) si rende quasi palpabile e manifesta le sue sorprendenti dimensioni. Dinanzi ad essa i credenti non possono non esclamare in tutta verità: "Signore, non mi potevi amare di più!", e rendersi subito conto che responsabile di quella sofferenza è il peccato: sono i peccati di ogni essere umano.
Parlandoci di amore e di peccato, la Sindone invita tutti noi ad imprimere nel nostro spirito il volto dell'amore di Dio, per escluderne la tremenda realtà del peccato. La contemplazione di quel Corpo martoriato aiuta l'uomo contemporaneo a liberarsi dalla superficialità e dall'egoismo con cui molto spesso tratta dell'amore e del peccato. Facendo eco alla parola di Dio ed a secoli di consapevolezza cristiana, la Sindone sussurra: credi nell'amore di Dio, il più grande tesoro donato all'umanità, e fuggi il peccato, la più grande disgrazia della storia.
    6. La Sindone è anche immagine di impotenza: impotenza della morte, in cui si rivela la conseguenza estrema del mistero dell'Incarnazione. Il telo sindonico ci spinge a misurarci con l'aspetto più conturbante del mistero dell'Incarnazione, che è anche quello in cui si mostra con quanta verità Dio si sia fatto veramente uomo, assumendo la nostra condizione in tutto, fuorché nel peccato. Ognuno è scosso dal pensiero che nemmeno il Figlio di Dio abbia resistito alla forza della morte, ma tutti ci commuoviamo al pensiero che egli ha talmente partecipato alla nostra condizione umana da volersi sottoporre all'impotenza totale del momento in cui la vita si spegne. E' l'esperienza del Sabato Santo, passaggio importante del cammino di Gesù verso la Gloria, da cui si sprigiona un raggio di luce che investe il dolore e la morte di ogni uomo.
   La fede, ricordandoci la vittoria di Cristo, ci comunica la certezza che il sepolcro non è il traguardo ultimo dell'esistenza. Dio ci chiama alla risurrezione ed alla vita immortale.
   7. La Sindone è immagine del silenzio. C'è un silenzio tragico dell'incomunicabilità, che ha nella morte la sua massima espressione, e c'è il silenzio della fecondità, che è proprio di chi rinuncia a farsi sentire all'esterno per raggiungere nel profondo le radici della verità e della vita. La Sindone esprime non solo il silenzio della morte, ma anche il silenzio coraggioso e fecondo del superamento dell'effimero, grazie all'immersione totale nell'eterno presente di Dio. Essa offre così la commovente conferma del fatto che l'onnipotenza misericordiosa del nostro Dio non è arrestata da nessuna forza del male, ma sa anzi far concorrere al bene la stessa forza del male. Il nostro tempo ha bisogno di riscoprire la fecondità del silenzio, per superare la dissipazione dei suoni, delle immagini, delle chiacchiere che troppo spesso impediscono di sentire la voce di Dio.
   8. Carissimi Fratelli e Sorelle! Il vostro Arcivescovo, il caro Cardinale Giovanni Saldarini, Custode Pontificio della Santa Sindone, ha proposto come motto di questa Ostensione solenne le parole: "Tutti gli uomini vedranno la tua salvezza". Sì, il pellegrinaggio che folle numerose vanno compiendo verso questa Città è proprio un "venire a vedere" questo segno tragico ed illuminante della Passione, che annuncia l'amore del Redentore. Questa icona del Cristo abbandonato nella condizione drammatica e solenne della morte, che da secoli è oggetto di significative raffigurazioni e che da cento anni, grazie alla fotografia, è diffusa in moltissime riproduzioni, esorta ad andare al cuore del mistero della vita e della morte per scoprire il messaggio grande e consolante che ci è in essa consegnato. La Sindone ci presenta Gesù al momento della sua massima impotenza, e ci ricorda che nell'annullamento di quella morte sta la salvezza del mondo intero. La Sindone diventa così un invito a vivere ogni esperienza, compresa quella della sofferenza e della suprema impotenza, nell'atteggiamento di chi crede che l'amore misericordioso di Dio vince ogni povertà, ogni condizionamento, ogni tentazione di disperazione.
   Lo Spirito di Dio, che abita nei nostri cuori, susciti in ciascuno il desiderio e la generosità necessari per accogliere il messaggio della Sindone e per farne il criterio ispiratore dell'esistenza.
  Con questi auspici, imparto a tutti voi, ai pellegrini che visiteranno la Sindone ed a quanti sono spiritualmente ed idealmente uniti intorno a questo segno sorprendente dell'amore del Cristo, una speciale Benedizione Apostolica.

http://www.vatican.va/content/john-paul-ii/it/travels/1998/documents/hf_jp-ii_spe_24051998_sindone.html

venerdì 17 aprile 2020

Oggi il Signore Gesù è sulla croce.., San Giovanni Crisostomo



L'icona ucraina della fine del XV secolo, villaggio Borsczevychi, 
Museo Nazionale a Leopoli 


LA CROCE DI CRISTO

San Giovanni Crisostomo

   Oggi il Signore Gesù è sulla croce e noi facciamo festa: impariamo così che la croce è festa e solennità dello spirito. Un tempo la croce era nome di condanna, ora è diventata oggetto di venerazione; un tempo era simbolo di morte, oggi è principio di salvezza. La croce è diventata per noi la causa di innumerevoli benefici: eravamo divenuti nemici e ci ha riconciliati con Dio; eravamo separati e lontani da lui, e ci ha riavvicinati con il dono della sua amicizia. Essa è per noi la distruzione dell'odio, la sicurezza della pace, il tesoro che supera ogni bene.
   Grazie alla croce non andiamo più errando nel deserto, perché conosciamo il vero cammino; non restiamo più fuori della casa del re, perché ne abbiamo trovato la porta; non temiamo più le frecce infuocate del demonio, perché abbiamo scoperto una sorgente d'acqua. Per mezzo suo non siamo più nella solitudine, perché abbiamo ritrovato lo sposo; non abbiamo più paura del lupo, perché abbiamo ormai il buon pastore. Egli stesso infatti ci dice: lo sono il buon pastore (Gv. 10,11). Grazie alla croce non ci spaventa più l'iniquità dei potenti, perché sediamo a fianco del re.
   Ecco perché facciamo festa celebrando la memoria della croce. Anche san Paolo invita ad essere nella gioia a motivo di essa:
Celebriamo questa festa non con il vecchio lievito... ma con azzimi di sincerità e di verità (1 Cor. 5, 8). E, spiegandone la ragione, continua: Cristo infatti, nostra Pasqua, è stato immolato per noi (1 Coro 5, 7). Capite perché Paolo ci esorta a ,celebrare la croce? Perché su di essa è stato immolato Cristo. Dove c'è il sacrificio, là si trova la remissione dei peccati, la riconciliazione con il Signore, la festa e la gioia. Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato per noi. Immolato, ma dove? Su un patibolo elevato da terra. L'altare di questo sacrificio è nuovo, perché nuovo e straordinario è il sacrificio stesso. Uno solo è infatti vittima e sacerdote: vittima secondo la carne, sacerdote secondo lo spirito...
   Questo sacrificio è stato offerto fuori dalle mura della città per indicare che si tratta di un sacrificio universale, perché l'offerta è stata fatta per tutta la terra.
Si tratta di un sacrificio di espiazione generale, e non particolare come quello dei Giudei. Infatti ai Giudei Dio aveva ordinato di celebrare il culto non in tutta la terra, ma di offrire sacrifici e preghiere in un solo luogo: la terra era infatti contaminata per il fumo, l'odore e tutte le altre impurità dei sacrifici pagani. Ma per noi, dopo che Cristo è venuto a purificare tutto l'universo, ogni luogo è diventato un luogo di preghiera. Per questo Paolo ci esorta audacemente a pregare dappertutto senza timore: Voglio che gli uomini preghino in ogni luogo, levando al cielo mani pure (1 Tim. 2,8). Capite ora fino a che punto è stato purificato l'universo? Dappertutto infatti possiamo levare al cielo mani pure, perché tutta la terra è diventata santa, più santa ancora dell'interno del tempio. Là si offrivano animali privi di ragione, qui si sacrificano vittime spirituali. E quanto più grande è il sacrificio, tanto più abbondante è la grazia che santifica. Per questo la croce è per noi una festa. 

Tratto da: Eis ton stauron kai eis ton lesten,  Omelia 1  (PG. 49, 399-401).

giovedì 16 aprile 2020








“Oggi è appeso al legno 
colui che ha appeso la terra sulle acque; 
oggi il Re degli angeli
 è cinto di una corona di spine; 
oggi è avvolto di una finta porpora
 colui che avvolge il cielo di nubi; 
riceve uno schiaffo, 
colui che nel Giordano ha liberato Adamo; 
è inchiodato con chiodi lo Sposo della Chiesa; 
è trafitto da una lancia il Figlio della Vergine. 
Adoriamo, o Cristo, i tuoi patimenti! 
Mostraci anche la tua gloriosa risurrezione”.  

(Lodi mattutini del Venerdì Santo).





P. Manuel Nin, La crocefissione e la risurrezione del Signore negli inni di sant’Efrem il Siro





Dal legno discese come frutto e salì al cielo come primizia…


Efrem il Siro (+373) nella sua abbondante innografia sulla Crocifissione e sulla Risurrezione di Cristo canta il mistero della nostra salvezza in tutta la bellezza della sua poesia e con la profondità della sua teologia. Del poeta siriaco abbiamo una collezione di inni pasquali che trattano tre aspetti particolari: gli azzimi -21 inni-, la crocifissione -9 inni- e la risurrezione -5 inni. Nell’inno VIII sulla crocifissione Efrem contempla lungo sedici strofe i luoghi e gli strumenti legati alla passione di Cristo, e come in altri dei suoi inni inizia ogni strofa con l’acclamazione “beato” indirizzata a ognuno di questi luoghi e strumenti. Il giardino del Getsemani è messo in parallelo col giardino dell'Eden, il luogo che vide la lotta ed il sudore di Adamo accoglie come profumo il sudore di Cristo: “Beato sei tu, luogo, che fosti degno di quel sudore del Figlio che su di te cadde. Alla terra mescolò il suo sudore per allontanare il sudore di Adamo… Beata la terra, che egli profumò con il suo sudore e che malata fu guarita”. L’Eden è anche presentato da Efrem come il luogo della volontà divisa di Adamo tra il precetto di Dio e l’astuzia del serpente, e che in Getsemani diventa per mezzo dello stesso Cristo il luogo dell'accoglienza e l’unità nella volontà del Padre: “Beato sei tu, luogo, perché hai fatto gioire il giardino delle delizie con le tue preghiere. In esso era divisa la volontà di Adamo verso il suo creatore… Nel giardino Gesù entrò, pregò e ricompose la volontà che si era divisa nel giardino e disse: «Non la mia ma la tua volontà!»”. Efrem dichiara pure beato il luogo del Golgota perché nella sua piccolezza accoglie il mistero della passione di Cristo: la riconciliazione con Dio, il saldo del debito ed il luogo da dove il buon ladrone parte per aprire ai redenti l’Eden. L’innografo si serve, come è abituale in lui, del contrasto tra i due luoghi: il cielo, luogo grande del Dio nascosto, ed il Golgota, piccolo luogo del Dio manifesto: “Beato sei anche tu, o Golgota! Il cielo ha invidiato la tua piccolezza. Non quando il Signore se ne stava lassù nel cielo avvenne la riconciliazione. È su di te che fu saldato il nostro debito. È partendo da te che il ladrone aprì l’Eden… Colui che fu ucciso su di te mi ha salvato”. Anche il buon ladrone è da Efrem dichiarato beato perché è condotto nel paradiso dal Signore stesso; la sua morte è incontro con Colui che è la Vita. Inoltre è molto bella l’immagine, sempre presentata per via di contrasto, che Efrem propone tra coloro che tradirono (Giuda), che negarono (Pietro), e che fuggirono (i discepoli), e colui che dall’alto della croce (il ladrone) lo annunzia, come se Efrem volesse sottolineare che lì nella croce il ladrone diventa apostolo: “Beato anche tu, ladrone, perché a causa della tua morte la Vita ti ha incontrato… Il nostro Signore ti ha preso e adagiato nell’Eden… Giuda tradì con inganno, anche Simone rinnegò e i discepoli fuggendo si nascosero: tu però lo hai annunziato”. Nello stesso inno Efrem, come farà anche nel suo commento al Vangelo, accosta per omonimia i diversi personaggi; nel nostro testo Giuseppe di Arimatea viene messo in parallelo a Giuseppe sposo di Maria. Il ruolo di costui nell’accogliere il Bambino neonato, nel fasciarlo, nel vederlo schiudere gli occhi, diventa in qualche modo il ruolo dell'altro Giuseppe verso Cristo calato dalla croce: “Beato sei tu, che hai lo stesso nome di Giuseppe il giusto, perché avvolgesti e seppellisti il Vivente defunto; chiudesti gli occhi al Vigilante addormentato che si addormentò e spogliò lo sheol”. Efrem canta beato anche il sepolcro, paragonato e a un grembo che rinchiude per sempre la morte, e all’Eden diventato sepolcro di Adamo, da dove egli stesso verrà redento da Cristo: “Beato sei anche tu, sepolcro unico, poiché la luce unigenita sorse in te. Dentro di te fu vinta la morte orgogliosa, che in te il Vivente morto ha cacciato via… Il sepolcro e il giardino sono simbolo dell'Eden nel quale Adamo morì di una morte invisibile… Il Vivente sepolto che risuscitò nel giardino risollevò colui che era caduto nel giardino”. Infine tre città sono dichiarate beate da Efrem, città che furono testimoni di tutto il mistero della redenzione: “Beate voi tre, senza invidia: del Terzo del Padre voi foste degne. La sua nascita a Betlemme, la sua abitazione a Nazaret, e a Betania poi la sua ascensione”. Il primo inno sulla Risurrezione è un canto al mistero della salvezza adoperato in Cristo, dalla sua incarnazione nel grembo di Maria, alla sua passione, morte e risurrezione. Per Efrem il Figlio di Dio incarnandosi diventa a pieno titolo il buon pastore che esce alla ricerca della pecora smarrita: “Volò e discese quel Pastore di tutti: cercò Adamo pecora smarrita, sulle proprie spalle la portò e salì…”. Efrem si serve dell'immagine del grembo e accosta quello del Padre e quello di Maria e come conseguenza anche quello dei credenti, gravidi della presenza in loro del Verbo di Dio: “Il Verbo del Padre venne dal suo grembo e rivestì il corpo in un altro grembo. Da grembo a grembo egli procedette e i grembi casti furono ripieni di lui. Benedetto colui che prese dimora in noi!”. Efrem sottolinea fortemente lungo tutto l’inno il rapporto stretto di tutto il mistero della salvezza che si realizza in Cristo, dalla sua esistenza eterna nel seno del Padre alla sua risurrezione e ascensione in cielo: “Dall’alto fluì come fiume e da Maria come una radice. Dal legno discese come frutto e salì al cielo come primizia… Dall’alto discese come Signore e dal ventre uscì come servo. Si inginocchiò la morte davanti a lui nello sheol e alla sua risurrezione la vita lo adorò…”. Ancora con altre immagini molto semplici e allo stesso tempo belle e profonde Efrem canta tutto il mistero della redenzione: “Maria lo portò come neonato. Il sacerdote lo portò come offerta. La croce lo portò come ucciso. Il cielo lo portò come Dio. Gloria al Padre suo!”. L’incarnazione di Cristo, sempre in questo stesso inno, Efrem la contempla ancora come l’avvicinarsi, il farsi prossimo di Cristo verso l’umanità debole e malata: “Gli impuri non aborrì e i peccatori non schivò. Degli innocenti gioì molto e molto desiderò i semplici… Dai malati non vennero meno i suoi piedi né le sue parole dagli ignoranti. Si protese la sua discesa verso i terrestri e la sua ascesa verso i celesti…”. Tutta la redenzione adoperata da Cristo Efrem la vede nella chiave del suo farsi vicino, del suo svuotarsi per sollevare e portare tutti gli uomini alla sua gloria divina: “Nel fiume lo annoverarono tra i battezzandi, e nel mare lo contarono tra i dormienti. Sul legno come ucciso e nel sepolcro come un cadavere… Chi per noi, Signore, come te? 

http://collegiogreco.blogspot.com/2011/04/la-crocefissione-e-la-risurrezione-del.html





Il Grande che si fece  piccolo, il Vigilante che si addormentò, il Puro che fu battezzato, il Vivente che perì, il Re disprezzato per dare a tutti onore…”

IL PANE E IL VINO DELLA NUOVA ALLEANZA, San Cirillo di Gerusalemme








IL PANE E IL VINO DELLA NUOVA ALLEANZA

  San Cirillo di Gerusalemme

  
   Se, dunque, egli stesso, parlando del pane, ha apertamente dichiarato: Questo è il mio corpo, chi oserà d'ora in avanti dubitare? E se egli stesso a questo punto dice in tono affermativo: Questo è il mio sangue, chi potrà avere ancora delle esitazioni o dirà che quello non è il suo sangue?...
    E' dunque con certezza piena che noi partecipiamo in tal modo del corpo e del sangue di Cristo. Infatti, sotto forma di pane ti viene dato il corpo, e sotto forma di vino ti viene dato il sangue, affinché tu divenga, partecipando del corpo e del sangue di Cristo, un solo corpo ed un solo sangue con lui. In questo modo, noi diventiamo portatori di Cristo, in quanto il suo corpo ed il suo sangue si diffondono nelle nostre membra. E così, secondo San Pietro, noi diventiamo partecipi della natura divina (2 Pt. 1, 4).
   Una volta Cristo disse, conversando con i Giudei: Se non mangerete la mia carne e non berrete il mio sangue, non avrete in voi la vita (Gv. 6, 53). Ma essi non ascoltarono queste parole con l'orecchio dello spirito, e se ne andarono scandalizzati, pensando che il Signore li invitasse a un normale pasto.
    Già nell'Antico Testamento c'erano i pani di proposizione. : ora non vi è più posto per offrire questi pani dell'Antica Alleanza. Nella Nuova Alleanza, vi è un pane celeste un calice di salvezza (cf. Sal. 115, 4) che santificano lima e il corpo. Infatti come il pane si accorda col corpo, ;ì il Verbo si armonizza con l'anima.
    Non fissare dunque la tua attenzione sul pane e sul o come se si trattasse di essi soli, perché secondo l'affermazione del Maestro si tratta di corpo e di sangue.
   La
fede ti aiuti per ciò che la percezione dei sensi ti suggerisce. Non giudicare la realtà in base al gusto, al sapore, ma in base alla fede.
   Quanto tu hai imparato ti dà questa certezza: ciò che sembrava pane, pane non è, anche se ne possiede il sapore, ma
il corpo di Cristo; e ciò che ritenevi vino, vino non è, anche se tale dovesse sembrare al palato, ma il sangue di Cristo. Davide ha detto una volta in un salmo: ...ch'ei possa d'olio far nitido il volto; e il pane gli rinfranchi il cuore (Sal., 15). Rinfranca dunque il tuo cuore prendendo questo le spirituale e rendi nitido il volto della tua anima. E possa tu, a viso scoperto e con purezza di coscienza, rifletre come uno specchio la gloria del Signore.
                                                  Catechesi mistagogica, 1, 3-6, 9, PG 33, 1098-1102, 1103.






L'EUCARISTIA, di San Giustino




Il mosaico di Santa Sofia a Kyiv, XI secolo

L'EUCARISTIA
 
 San Giustino (m. 165)


  Originario di Palestina, Giustino fu una delle figure più note tra i cristiani del II secolo. 

A trent'anni, deluso dalle filosofie e soprattutto dallo stoicismo, aveva tuttavia scoperto con entusiasmo il pensiero di Platone e si era poi convertito al cristianesimo. Si mise con fervore alla scuola dei maestri-profeti e divenne un filosofo e un apologista di grande valore. Di mente molto aperta e di spirito leale, ammirava la verità ovunque si trovasse, anche in maniera solo parziale. Visse ad Efeso e per alcuni anni a Roma, dove tenne scuola per due volte e fu decapitato a Roma nel 165.




    Nessuno può prendere del cibo che noi chiamiamo Eucaristia, se non crede vero quel che noi insegniamo, se non è stato lavato col lavacro per la remissione dei peccati e la rigenerazione, e se non vive come Cristo ha insegnato. Perché noi non prendiamo questo cibo come pane o come bevanda comune. Ma, come per la parola di Dio, Gesù Cristo, il nostro Salvatore, si è incarnato prendendo carne e sangue perla nostra salvezza, così pure il cibo fatto Eucaristia mediante la preghiera della sua parola - cibo del quale si nutrono per assimilazione il nostro sangue e la nostra carne - è secondo la nostra dottrina la carne e il sangue di quel medesimo Gesù ,incarnato. Gli apostoli, nelle memorie da loro lasciate che si chiamano «Vangeli», ci hanno tramandato così l'ordine che Gesù aveva dato: preso del pane e rese grazie, disse: «Fate questo in memoria di me; questo è il mio corpo». E allo stesso modo, preso H calice e rese grazie, disse: «Questo è il mio sangue». E li diede ad essi soli (cfr. Mt. 26,26-28; 1 Cor. 11,23-25).
     Da allora non ci stanchiamo di rinnovare tra noi la memoria di queste cose. Quelli che ne hanno la possibilità vengono in aiuto agli indigenti, e siamo sempre uniti gli uni agli altri. Per tutto quel che mangiamo, benediciamo il Creatore dell'universo per mezzo del Figlio suo Gesù Cristo e dello Spirito Santo. Nel giorno detto del sole (cioè la domenica), tutti quelli che abitano nelle città o nella
campagna si radunano in uno stesso luogo, e si leggono le memorie degli apostoli a le raccolte dei profeti, finché rimane tempo. Poi, quando il lettore ha terminato, colui che presiede prende la parola per richiamare l'attenzione su quegli splendidi insegnamenti ed esortare a tradurli in pratica. Quindi ci alziamo tutti insieme, e preghiamo ad alta voce. E, come s'è già detto, terminato di pregare, si porta pane, vino e acqua. Il presidente innalza allora a gran voce preghiere e azioni di grazie con l'ardore di cui è capace, e il popolo acclama, dicendo «Amen!». Segue la distribuzione e la partecipazione di ciascuna agli alimenti che sono stati resi Eucaristia; a quelli che non sono presenti vengono inviati per mezzo dei diaconi. Quelli che possiedono beni e che hanno buona volontà, danno liberamente, ciascuno secondo quel che ha stabilito: quello che viene così raccolto è rimessa al presidente, e questi viene incontro  agli orfani e alle vedove, a quelli che per malattia a altra causa stanno male, ai prigionieri e ai forestieri che sono di passaggio. In una parola, egli si prende cura di tutti quelli che sono in difficoltà. E' nel giorno del sole che noi celebriamo tutti insieme la nostra assemblea, perché è il prima giorno, quello in cui Dio, traendo dalle tenebre la materia, ha fatto il mondo, e perché in quella stesso giorno Gesù Cristo, il nastro Salvatore, è risorto dai morti.



 Prima Apologia, 66-67: PG 6, 427-431.

L'EUCARISTIA, PEGNO DELLA RISURREZIONE, di Sant'lreneo



 
Il mosaico dalla cattedrale di San Michele Arcangelo a Kyiv


L'EUCARISTIA, PEGNO DELLA RISURREZIONE
 Sant'lreneo 
 


   Sant'lreneo di Lione (seconda metà del II secolo), originario dell'Asia Minore, è il primo grande teologo dell'età patristica. Il suo pensiero, d'ispirazione profondamente biblica, è nello stesso tempo semplice, vigoroso e profondo.

   Se, ricevendo la parola di Dio, il calice riempito e il pane preparato diventano l'Eucaristia, cioè l'azione di grazie del sangue e del corpo di Cristo, e se da essi è arricchita e fortificata la sostanza della nostra carne, come possono affermare che la carne non è capace di ricevere il dono di Dio, che è la vita eterna? Essa infatti è nutrita del sangue e del corpo di Cristo ed è membro di Lui, come dice bene l'Apostolo nella lettera agli Efesini: Siamo membra del suo corpo, formati della sua carne e delle sue ossa (Ef. 5, 30). Non dice questo di un individuo spirituale e invisibile, poiché lo spirito non ha né ossa né carne (Le. 24, 39); ma parla dell'organismo autenticamente umano, formato di carne, di nervi e di ossa, l'organismo cioè che è nutrito dal calice del sangue di Cristo ed è fortificato dal pane del suo corpo.
   Il legno della vite, deposto in terra, dà frutto a suo tempo e il grano di frumento, caduto in terra (Gv. 12, 24), dopo essersi disfatto, risorge moltiplicato per opera dello Spirito di Dio che regge ogni cosa. Poi, in virtù della sapienza, il pane e il vino sono dati in uso all'uomo e, ricevendo la parola di Dio, diventano l'Eucaristia, che è il corpo e il sangue di Cristo. Allo stesso modo i nostri corpi, nutriti dall'Eucaristia, dopo essere stati deposti in terra ed essersi disfatti in essa, a suo tempo risorgeranno, quando il Verbo di Dio darà loro la Risurrezione per la gloria di 0;0 Padre (Fil. 2, 11). Egli darà l'immortalità a ciò che è mortale e - gratuitamente - renderà incorruttibile ciò che è corruttibile, perché la forza di Dio si manifesta nella debolezza (cfr. 2 Coro 12, 9).
    Nella consapevolezza della nostra condizione mortale, ci guarderemo dall'inorgoglirei e dall'innalzarci contro Dio con pensieri di ingratitudine, quasi ci dessimo la vita da noi stessi! Sapendo invece, per esperienza, che dalla sua grandezza e non dalla nostra natura abbiamo il dono di poter vivere per sempre, non negheremo a Dio la gloria che gli spetta e, nello stesso tempo, non ignoreremo la nostra natura. Conosceremo quale sia la potenza di Dio e quali benefici l'uomo riceva da lui. Non ci inganneremo sulla vera natura ed essenza di Dio e dell'uomo. Non ha forse Dio permesso - come abbiamo detto prima - la dissoluzione dei nostri corpi, perché, istruiti da ogni avvenimento, potessimo osservarli tutti con scrupolosa attenzione, non ignorando né Dio né noi stessi?...
    Come infatti l'uomo avrebbe potuto conoscere la sua natura inferma e mortale e, nello stesso tempo, l'immortalità e la potenza di Dio, se non sapesse per esperienza la diversità di entrambe le condizioni? Non c'è infatti niente di male nel conoscere - per fatica di esperienza - la propria infermità: mentre è un bene tanto maggiore avere una retta cognizione di quello che realmente siamo.




 Contra Haereses, Liber V, 2, 3; 3, 1 - Sources Chrétiennes, Le Cerf - Parigi 1969, 35-41.



lunedì 13 aprile 2020

ICONA UCRAINA: La Passione di Cristo (XVI sec.)



La Passsione di Cristo
icona ucraina del XVI secolo  
 (dalla chiesa dell'Ascensione del Signore del villaggio Bagnuvate, 
provicia di Turka, regione di Leopoli,
adesso nel Museo Nazionale di Leopoli)

La Passione di Cristo



La Passione di Cristo 



L'icona ucraina del XVI secolo, villaggio Ugreci,  
(Museo Nazionale di Leopoli) 




 "Ecco lo Sposo viene nel mezzo della notte:
beato quel servo che troverà vigilante,
indegno quel servo che troverà trascurato.
Bada dunque, anima mia,
di non lasciarti prendere dal sonno
per non essere consegnata alla morte
e chiusa fuori dal regno.
Ritorna dunque in te stessa e grida:
Santo, santo, santo tu sei, o Dio:
per l’intercessione degli incorporei,
abbi pietà di noi."

(Tropario dall'Orthros del Grande e Santo Lunedì)

domenica 12 aprile 2020

La cartolina festiva di Olena Kulchycka

Три історії про святкування Великодня, у які нам важко повірити ... 
La cartolina festiva di Olena Kulchycka

DOMINICA IN PALMIS DE PASSIONE DOMINI, OMELIA DI PAOLO VI

 

«DOMINICA IN PALMIS DE PASSIONE DOMINI»

OMELIA DI PAOLO VI
Domenica, 4 aprile 1971
 
   Parlo a Voi, Giovani, specialmente: mi ascoltate?
Supponiamo di fare un dialogo, un breve dialogo.
Perché siete qui, questa mattina? Perché siete stati invitati.
   E perché invitati? Perché è la Domenica delle Palme.
   E quale motivo offre la Domenica delle Palme per invitare i Giovani ad una Messa del Papa, celebrata per loro? Il motivo è dato dal fatto che oggi la Chiesa celebra la memoria d’un fatto evangelico, che ben conosciamo: l’entrata di Gesù in Gerusalemme, con una certa solennità, cavalcando un asinello, attorniato dai suoi discepoli, in mezzo ad una enorme folla di gente. Perché tanta gente? Perché era vicina la grande festa annuale del Popolo ebreo; e la gente veniva da tutta la nazione, da tutte le tribù, e si addensava nella città capitale, dove c’era il Tempio. Sapete come si chiamava questa festa? Si chiamava la Pasqua. E quale era il suo significato? Era un significato commemorativo; essa voleva ricordare - attenzione! - la liberazione del Popolo ebraico dalla schiavitù, in cui era vissuto per tanti anni, e da cui partiva per conquistare la patria; perciò la festa aveva anche un significato profetico; era una celebrazione che non guardava soltanto al passato, ma guardava anche al futuro; e che cosa aspettava dal futuro? Aspettava un Capo, una guida, un maestro; aspettava l’uomo della speranza; aspettava un Salvatore. Doveva essere un discendente di David, il re, che aveva dato consistenza civile, ma insieme coscienza della sua vocazione religiosa al Popolo ebraico. Aspettava il Messia. Messia voleva dire l’uomo consacrato da Dio, il Sacerdote, il Re, il Profeta, il «servo di Dio», il Figlio dell’uomo, colui insomma in cui si concentrava il senso, la salvezza, la grandezza, la vittoria della nazione e dell’intera umanità. La fantasia aveva giocato molto intorno al concetto di questa misteriosa figura, prodigiosa, strepitosa. Il fatto è, questa è la storia del Vangelo, che quando Gesù cominciò a predicare il «regno di Dio» e a fare miracoli si diffuse l’opinione prima, la certezza poi che Gesù fosse il Messia. E Gesù, che non aveva mai voluto circondarsi di gloria esteriore, volendo sempre proclamare un regno di Dio, non un regno terreno e politico, alla fine si presentò, umilmente, ma chiaramente a tutto il Popolo, come il vero Messia, e fu allora che, nonostante la sorda e fiera opposizione delle autorità giudaiche, fu acclamato per quello che era, il «Figlio di David», l’aspettato, il Messia, l’instauratore del nuovo regno di Dio, il Liberatore, il Salvatore. Voi sapete come andarono le cose: dopo cinque giorni Gesù fu arrestato, processato, crocifisso; ma al terzo giorno Egli risuscitò; e il nuovo regno, il cristianesimo, la Chiesa, la vita divina comunicata a chi crede, qui nel tempo, misteriosamente, e poi oltre il tempo, gloriosamente e eternamente, era inaugurata e fondata. 

I FANCIULLI ACCLAMANO IL MESSIA
Voi domanderete: che cosa ci entriamo noi giovani? Ebbene, prima di tutto, procuriamo di capire che si tratta d’un avvenimento centrale, decisivo, così straordinario che riguarda l’umanità intera, ci riguarda tutti, come individui e come società; tutti, e a fondo.
Poi, è da notare una circostanza singolare nell’avvenimento che ora commemoriamo; ed è questa. Tutta l’enorme folla acclamò Gesù, quel giorno, come Messia, tagliando rami dagli alberi, - ecco le palme -, per festeggiare Colui che veniva nel nome del Signore. E chi fece più chiasso? Chi inneggiò con voce più alta e con maggiore entusiasmo in quell’ora solenne? Furono i ragazzi; lo riconobbe lo stesso Gesù, citando un salmo, cioè dando così valore profetico alle voci dei fanciulli e prendendo la loro difesa verso coloro che li volevano far tacere (Cfr. Matth. 21, 15-16). Cioè la voce dei giovani ha una importanza sua propria nel riconoscimento di Gesù, come Messia, come Cristo, come Maestro e Salvatore del mondo.
Ed è per questa circostanza che giovani e ragazzi sono invitati ad intervenire alla cerimonia liturgica che ricorda quel fatto evangelico? Sì, ma con una intenzione non puramente cerimoniale e commemorativa; con un’intenzione speciale, propria per voi, giovani e ragazzi d’oggi. E cioè? Che voi facciate, come quelli della scena evangelica, la vostra scelta.
LA SCELTA
Quale scelta? Quella di Cristo. State a sentire. Voi Cristo lo avete già scelto. Voi siete già cristiani. Siete stati battezzati? Sì. Allora voi siete cristiani. Ma quali cristiani siete voi? Essere cristiani non è cosa da poco; vuol dire essere già inseriti nel dramma della salvezza; vuol dire avere già una concezione del mondo e della nostra esistenza, della storia passata e dei destini futuri; vuol dire avere già un programma impegnativo di vita, cioè credere, operare, sperare, amare. Ebbene, ripeto, quali cristiani siete voi? Non conta guardare a come si comportano tanti cristiani. Bisogna che ciascuno badi a sé, al proprio comportamento.
Vedete. Vi sono diversi comportamenti, fra i giovani, rispetto al proprio carattere cristiano. Facciamo subito una classifica sommaria? Ecco.
Vi è una prima categoria di cristiani, che spesso senza nemmeno pensarci, sceglie il comportamento «zero». Chiamiamo zero quel comportamento che non dà alcun peso, alcuna importanza al fatto d’essere cristiano. Cioè: è un comportamento nel quale il carattere cristiano non significa nulla. Nei Paesi di missione questo non avviene: un cristiano è cristiano, e sa di dover vivere in una certa maniera, con un certo stile, che lo distingue, che lo qualifica. Da noi invece avviene spesso che l’essere cristiano non significa nulla, zero. Anzi, spesso un cristiano è una contraddizione vivente, perché egli contraddice con la propria maniera di pensare e di vivere questa sua magnifica prerogativa: essere figlio di Dio, essere fratello di Cristo, essere come una lampada accesa in cui arde lo Spirito Santo, la grazia, essere membro della Chiesa, uomo che sa come vivere e che sa doveva. Un cristiano è un uomo logico, coerente, responsabile, libero e nello stesso tempo fedele. Non un uomo zero, indifferente, insignificante, incosciente, con la testa nel sacco. Siamo d’accordo?
ESSERE «PERSONE»
Vi è una seconda categoria ed è quella che il Vangelo chiama degli uomini «canna», delle canne agitate dal vento (Cfr. Matth. 11, 7). Canne che si piegano secondo il vento che tira. Uomini privi di personalità propria, di quella dirittura cristiana, che dicevamo; uomini disponibili alle idee altrui, pronti a curvarsi al dominio dell’opinione pubblica, della moda, dell’interesse; uomini della paura, uomini del rispetto umano, uomini-pecore. Purtroppo questo è un fenomeno diffuso nella gioventù; e si spiega: vuol mostrarsi forte e indipendente verso l’ambiente che conosce, la famiglia, la società; ne vede i difetti, ne sente il giogo, e cerca di liberarsi, di affrancarsi, diventa contestatrice, rivoluzionaria, se occorre; ma poi, dove va? S’intruppa con chi conduce il gioco e fa la moda, diventa numero mediocre, senza proprio valore e significato, si contenta di surrogati, di fantasmi, di falsi eroismi. Forse ne conoscete anche voi di giovani sbandati, e piegati come «canne» al vento?
Ma viene il momento in cui bisogna essere «persone», cioè uomini che vivono secondo dati principi. Secondo idee-cardini. Secondo idee-luce. Secondo idee-forza. Uomini che hanno fatto la loro scelta, e secondo questa scelta, camminano e vivono. È questa la vera categoria degna della gioventù intelligente e cristiana. La vostra, carissimi figli ed amici.
Sentite: si può vivere senza principi? La domanda può presentarsi così: si può camminare al buio? E quanta gente cammina al buio! Voglio credere che voi siate tanto intelligenti da comprendere, d’intuito, che la nostra vita è piena di oscurità, di dubbi, di misteri. Essa è più simile ad una notte che ad un giorno; si intravedono tante cose, tantissime bellissime cose; ma è proprio ciò che noi conosciamo, anche con lo studio, con la scienza, con la pratica, che ci dà l’impressione, l’esperienza d’essere in un mondo notturno, dubbioso, ignoto, segreto, muto, e forse nemico, forse vano, forse privo di senso. Ebbene: occorre una luce. Una luce per la vita. La luce vera. Chi ha detto: «Io sono la luce del mondo»? (Cfr. Io. 8, 12; 12, 16; e 1, 5, 9, 13, 19; ecc.) È Gesù, che al momento del suo ingresso in Gerusalemme fu pubblicamente riconosciuto come il Cristo, cioè come Messia. Quel Messia, che la gioventù e la fanciullezza là presenti acclamarono come il vero Profeta della storia, come l’Inviato da Dio, come il Pastore del genere umano, come il Maestro unico e buono delle somme verità, come il Fondatore del regno dei cieli, come il Salvatore del mondo. 

LA VERA GUIDA SPIRITUALE DELLA VITA
Avete compreso?
Ebbene due conclusioni allora. Anche voi, giovani e ragazzi e ragazze qui presenti dovete riconoscere in Gesù Cristo la vera guida spirituale della vostra vita. Noi diremmo oggi il «leader» morale del nostro tempo. Levate dunque le vostre palme, i vostri rami di pacifico olivo verso di Lui, e inneggiate a Lui: Osanna! Evviva! La nostra scelta è per Te, Cristo Gesù!
E poi, altra conclusione, ricordatevi che tocca a voi, figli di questa nuova generazione, a fare riconoscere intorno a voi, al nostro mondo moderno, tanto bisognoso e meritevole di vera luce, alla nostra stessa Roma, il suo vero Cristo, il suo Messia, Gesù! Tocca a voi, giovani d’oggi, rinnovare il prodigio messianico, iniziato dalla Gioventù cattolica di ieri e a svilupparlo oggi; e cioè il passaggio da un cristianesimo consuetudinario e passivo ad un cristianesimo cosciente ed attivo; il passaggio da un cristianesimo timido ed inetto ad un cristianesimo coraggioso e militante; da un cristianesimo individuale e disgregato ad un cristianesimo comunitario ed associato; da un cristianesimo indifferente ed insensibile alle altrui necessità ed ai doveri sociali ad un cristianesimo fraterno ed impegnato a favore dei più deboli e dei più bisognosi. Coraggio! Tocca a voi! Con la Nostra affettuosa Benedizione Apostolica. 

 http://www.vatican.va/content/paul-vi/it/homilies/1971/documents/hf_p-vi_hom_19710404.html

venerdì 10 aprile 2020

Atanasio, La rivelazione della salvezza del mondo attraverso la croce






La rivelazione della salvezza del mondo attraverso la croce



   I pagani ci calunniano e ci scherniscono, ridendo sguaiatamente di noi, senza aver nient'altro da rimproverarci che la croce del Cristo.
Ed è soprattutto questa loro incoscienza che suscita pietà: essi calunniano la croce, senza rendersi conto che la sua potenza ha riempito la terra intera e che, grazie ad essa, si son resi manifesti a chiunque i frutti della conoscenza di Dio. Se anche i pagani, infatti, si sforzassero di rivolgere sinceramente il loro spirito alla sua divinità, non si prenderebbero gioco d'un evento così importante, ma, piuttosto, riconoscerebbero essi stessi il salvatore dell'universo e si accorgerebbero che la sua croce non ha rappresentato la rovina, bensì la guarigione di tutto il creato.
   Giacché se è vero che la croce, una volta innalzata, ha fatto sparire ogni forma d'idolatria e che, in virtù di questo simbolo, sono state fugate tutte le apparizioni dei demoni ed il Cristo solo, che ci fa conoscere il Padre, vien fatto oggetto d'adorazione; se è vero che i suoi oppositori son coperti di confusione e che ogni giorno egli converte a sé misteriosamente le loro anime, come può accadere - si potrebbe, a buon diritto, loro obiettare - come può accadere che costoro continuino a ritenerlo un fatto puramente umano e non confessino, invece, che colui che è salito sulla croce è il Verbo di Dio e il Salvatore del mondo? L'atteggiamento di questa gente presenta aspetti simili a quello di colui che parlasse male del sole quando vien nascosto dalle nuvole, ma ne ammirasse la luce nel costatare come essa rischiara tutto il creato.
La luce è bella; più bello ancora, tuttavia, è il sole, autore ed origine della luce. Non diversamente, se costituisce un evento divino che la terra intera sia riempita della conoscenza di Dio, è allora necessario che l'autore e l'ordinatore di un tale capolavoro siano Dio e il Verbo di Dio.
Atanasio, Contro i pagani, 1




Gregorio di Nissa, Il significato misterioso della croce


      La miniatura del Salterio di Kyiv 1397

      Il significato misterioso della croce
 Gregorio di Nissa


    Che la croce nasconda un significato assai profondo, se ne sono accorti coloro che hanno conosciuto gli arcani misteri. La tradizione ci insegna questo: nel Vangelo ogni cosa è detta o fatta in funzione di una vita più elevata e divina, mentre in ogni occasione si manifesta chiaramente una mescolanza di umanità e divinità, giacché, la voce e l'azione pratica appartengono alla sfera umana, mentre il significato recondito inerisce alla dimensione divina; ora, stando così le cose, non sarebbe giusto soffermarsi unicamente su di un aspetto, trascurando l'altro, ma occorre, invece, considerare l'elemento mortale in quello immortale, esaminando accuratamente, peraltro,, anche la componente più propriamente divina presente nell'uomo. E proprio della sostanza divina, infatti, permeare di sé, ogni cosa, raggiungendo, in ogni direzione, tutto ciò che esiste... Del che siam resi edotti proprio in virtù della croce: questa, infatti, è divisa in quattro parti, in maniera che, a partire dal suo punto centrale, si contano quattro bracci ad esso congiunti; ora, colui che fu disteso sulla croce perché, ci facesse dono della sua morte, nell'attirare a sé e nel plasmare tutte le cose, le unifica, nonostante le loro diverse nature, nel segno di un accordo e di un'armonia universali. Ogni cosa, infatti, può esser considerata nella sua parte superiore come in quella inferiore come anche da un punto di vista trasversale. Se, dunque, ti soffermi a riflettere sulla struttura del cielo o su quella della terra ovvero su ciò che entrambe le trascende il tuo pensiero s'incontrerà ogni volta con la divinità, l'unica ad esser contemplata in tutto ciò che esiste ed a contenere, nella sua essenza, ogni cosa. Se, poi, questa divinità debba esser chiamata natura o ragione o virtù e potenza o sapienza o con qualcun'altra di queste sublimi definizioni che possa mostrare con maggior eloquenza le qualità di colui che è sommo ed eminentissimo, la nostra fede non suscita alcun problema a, questo riguardo, né per l'espressione né per il nome né per il significato dei termini. Giacché, allora, l'intera creazione guarda a lui, dispiegandoglisi intorno, e, in virtù del suo tramite, perviene alla propria intrinseca unità, mentre ciò che si trova al di sopra si salda con ciò che sta al di sotto e le cose che si trovano di traverso si congiungono, grazie a lui, le une con le altre; stando così le cose, dicevo, occorreva che noi non fossimo indotti soltanto per sentito dire alla considerazione della divinità, ma che la nostra stessa vista divenisse maestra di più sublimi pensieri. In seguito ad un'esperienza del genere, il grande Paolo si senti spinto ad istruire nei misteri la comunità di Efeso, conferendo ad essa, attraverso la propria dottrina, la capacità di conoscere che cosa siano la profondità, la larghezza, la lunghezza e l'altezza (cf. Ef. 3, 18). Ebbene, l'Apostolo, così facendo, chiama con il nome che lo compete ciascuno dei bracci della croce. L'altezza, infatti, è la parte che va al di sopra; la profondità, quella che si protende verso il basso, per larghezza e lunghezza, infine, son da intendersi i bracci trasversali. Altrove, rivolgendosi ai Filippesi, Paolo rende conto con maggior chiarezza, credo, di questo significato, allorché dice: Nel nome di Gesù Cristo ogni ginocchio si pieghi, nel cielo, sulla terra e negli inferi (Fil. 2, 10). Qui egli comprende sotto un'unica denominazione il braccio trasversale, dal momento che considera terrestre tutto ciò che si trova fra il cielo e gl'inferi.

Gregorio di Nissa, Grande Catechesi. 32, 2

Post più popolari