San Giosafat Kuncevych,
l'apostolo dell'unità della Chiesa
il patrono dell’Ucraina e degli ecumenisti
(Volodymyr Volynsky, 1580 ca - Vitebsk, 12 novembre 1623)
12 novembre
di Yaryna Moroz Sarno
"Siamo nella barca di Cristo sotto la guida
del Supremo Timoniere, il Vicario di Cristo.
Questa barca non è mai stata e non può essere esente da attacchi,
indipendentemente dal fatto che ci troviamo a bordo o meno…"
Dalla lettera di San Giosafat
al Cancelliere Lev Sapiga del 12 aprile 1622.
"Il sangue di San Giosafat, come secoli fa,
anche e specialmente ora, riesce pegno di pace e suggello di unità"
Dall'Enciclica
«Ecclesiam Dei» di Pio XI
Giosafat Kuncevych (Kuncevich, Kuncewycz, in ucr. Йосафат Кунцевич) (1580-1623), circa 445 anni fa' nacque a Volodymyr-Volynsky, l'antica città principesca ucraina, fondata da San Volodymyr il Grande (la prima menzione nel 988), in una famiglia della piccola nobiltà da genitori ortodossi Gavryil e Maria. Fu battezzato con nome Ivan nella chiesa locale di Santa Parasceva e trascorse la sua infanzia e giovinezza nella sua città natale. La madre spesso gli raccontava sulla Passione del Signore, ed un dardo partito dal fianco dell'immagine della Crocifissione di Gesù colpì il suo cuore, accendendo in lui l'amore divino così forte che si dedicò alla preghiera e alle opere pie in modo esemplare.
Il Crocifisso davanti al quale pregava San Giosafat
nella chiesa di Santa Parasceva a Volodymyr-Volynsk
Suo padre voleva farlo diventare commerciante, quindi lo mandò a Vilna per conoscere l'attività commerciale, lì il giovane conobbe la questione dell'unione della Chiesa che accettò intorno al 1599 e con l'influenza dei Gesuiti ne divenne ardente sostenitore. Esiste versione fu tra studenti di teologia nell'Accademia di Vilnius (ora Università di Vilnius) come libero ascoltatore. Il giovane e talentuoso attirò l'attenzione di numerose figure della chiesa cattolica, in particolare del teologo e missionario Peter Arkudiy (c. 1563–1633), Josyph Velyamyn Rutskyj (15741-1637). I suoi confessori e insegnanti divennero insegnanti dell'Accademia di Vilnius — professore di retorica, filosofia e teologia padre Fabricius Kovalskyi e professore di teologia morale e polemico-dogmatica Ivan-Gryhorij Grushevskyj. Comunicando con loro, ha arricchito le sue conoscenze, ha conosciuto la letteratura polemica, ha fatto una scelta di vita a favore della Chiesa dell'Unione. nella chiesa di Santa Parasceva a Volodymyr-Volynsk
Si ritirò nel monastero della Santissima Trinità a Vilna nel 1604 e fece voti al metropolita Ipatius Pociej (1541-1613) che aveva un ruolo cruciale nell'unione di Brest (1595-96). Indossando l'abito basiliano, Kuncevych scelse il nome
di Giosafat.
La chiesa di Santissima Trinità a Vilnius
"San Giosafat Kuntsevich, apostolo dell'unità delle Chiese, trascorse 13 anni della sua vita ascetica nella Chiesa della Santissima Trinità. Morì martire a Vitebsk nell'anno di Dio 1623".
I confratelli notarono la sua
tenerezza verso Gesù Crocifisso, il modo in cui esercitava la pietà e
la penitenza, tanto che, come disse il metropolita
Giuseppe Rutsky, “in breve tempo fece tali progressi nella vita
monastica da poter essere maestro agli altri”. La sua ascesi era molto rigorosa: camminava a piedi nudi nei giorni freddi dell'inverno in quella regione rigidissima, non si cibava mai di carne né beveva vino, se non quando ve
lo costringeva l'obbedienza. Portò sul corpo, fino alla morte, un
ruvido cilicio e conservò la castità che, adolescente, aveva
consacrato alla Vergine Madre di Dio. Aveva una devozione filiale per la Beata Vergine e venerava in particolare una sua icona, nota con il titolo di “Regina dei pascoli”. Per il ritorno all'unità egli confidava proprio nell'amore comune per la Madre di Dio sia da parte dei cattolici che degli ortodossi. La fama della sua santità e delle sue virtù si diffuse rapidamente. Attraverso la sua vita pia si attiravano le nuove vocazioni al monastero (tra cui fu anche lo stesso Rutskyj), così nel 1617 furono già cinque monasteri ricostruiti e quasi 80 monaci.
Dopo gli studi privati sotto la guida del gesuita Fabrizio Valentino Groza nel 1609 fu ordinato prete e presto fu messo a dirigere il monastero di Byten. Egli fu abate del monastero di Zhyrowyci (1613), dove studiavano i giovani monaci, che non avevano un posto dove stare a Vilna.
Nell'estate del 1613 morì difensore dell'Unione di Brest, metropolita di Kyiv e della Galizia Hipatius Pociej (in ucr. Іпатій Потій, 1541-1613) e lo sostituisce il 28 giugno del 1614 Yosyp Velyamin Rutskyj (1574-1637) che nominò San Giosafat come l'archimandrita a Vilna (1614) dell'ordine basiliano appena rinnovato.
E così Giosafat ritornò a nel monastero della Santissima Trinità di Vilna. Giosafat fece molto per il miglioramento dei monasteri e l'organizzazione e la riforma dell'Ordine Basiliano. Negli anni 1614-1617 fu archimandrita del monastero della Santissima Trinità a Vilna, vicario metropolitano di Lituania e Bielorussia. Insieme a Josyp Venyamin Rutskyj, che ricostruì questo monastero con la sua eredità, riorganizzò la vita monastica e introdusse una rigida disciplina monastica. Nel 1614 accompagnò il metropolita nella città di Kyiv, predicando tra i monaci della Lavra Pecherska a Kyiv.
Il 12 novembre 1617 fu consacrato dal metropolita Josyp Velyamin Rutsky come arcivescovo-coadiutore di Polock con diritto di successione per sollevare la questione dell'unità nell'arcidiocesi, dal 1618 dopo la morte dell'arcivescovo Gedeone diviene arcivescovo di Polock. Il suo predecessore, l'arcivescovo Gedeone Brolnyckyj, partito all'età di novant'anni, lasciando la diocesi in uno stato tale che il re annota nell'atto consegnato a Giosafat: "E poiché alcune persone usano dei beni della diocesi di Polock di quali si sono appropriati, quindi noi, re, permettiamo a Giosafat Kuncevych, arcivescovo di Polock, di riprenderli dai proprietari abusivi, in conformità con la legislazione attuale, quelle proprietà che erano di proprietà della diocesi di Polock, ma sono finite in possesso di persone laiche."
Decreto del re Sigismondo III, sulla nomina di una Commissione che, su richiesta di Giosafat, avrebbe dovuto indagare quali terre appartenessero al vescovado e quali fossero state rubate da persone laiche
Rendendosi conto che una tale situazione, quando i laici occupano le chiese, è considerata la norma anche tra il clero, Giosafat riunisce i presbiteri per un Sinodo a Polock e sottolinea che il presbitero non è soggetto al giudizio delle persone secolari e, allo stesso modo, le persone secolari non possono gestire le chiese. Tutto questo il vescovo argomentò non solo con le risoluzioni dei Concili ecumenici della Chiesa universale, ma anche con i commenti dell'autorevole canonista bizantino Zonara, tradotti in un linguaggio comune accessibile grazie a Giosafat.
Insieme a Josyp Rutskyj riorganizzò la vita monastica e introdusse una rigida disciplina monastica; nel 1618-1620 ricostruì la cattedrale di Santa Sofia a Polock.
Si dedicò con grande impegno alla
causa dell'Unità della Chiesa, scrisse opere sull'unità delle Chiese d'Occidente e d'Oriente sotto la guida del Papa. Profondamente conosceva la Sacra Scrittura, gli insegnamenti dei Santi Padri, i libri liturgici orientali, coltivò con la devozione il rito bizantino-slavo.
Con desiderio autentico di fare la volontà del Signore, divulgò scritti sul primato di San Pietro, sulla figura di San Volodymyr e sulla necessità dell’unione con Roma. Si conoscono i sette brevi trattati polemici, che non si sono conservati ("Sulla falsificazione delle lettere slave", "Sul primato di San Pietro", "La difesa della fede", "Sul battesimo di Volodymyr", "Catechismo" ed altri). Nel 1617 Giosafat Kuncevych pubblicò "La difesa dell'unità della Chiesa".
Aveva una dote particolare di predicatore: predicò ad ogni festa liturgica, di più, solo dove poteva farlo, insegnava la Scrittura. Le sue parole penetravano nei cuori, provocando le lacrime. Il suo apostolato e il suo esempio furono così efficaci che per il numero delle persone riconciliati con la Chiesa cattolica i suoi oppositori lo chiamarono “rapitore di anime”.
"La predica di Giosafat Kuncevych", il disegno di Elia Repin, 1893
Fu autore di numerose opere, purtroppo la maggior parte di quali non è sopravvissuta. Tra queste: "Sull'anzianità di San Pietro", "Catechismo" (dopo il 1618), "Statuti per i presbiteri", "Regola", "Sulle reliquie dei santi", "Sul battesimo di Vladimir". In quest'ultima, sosteneva che l'Ucraina, fin dall'inizio della sua conversione al cristianesimo, era in unità con la Chiesa di Roma e aveva sempre riconosciuto il primato del vescovo romano. Traeva argomenti a favore di tali affermazioni dai libri della Chiesa ortodossa e dalle opere di autorevoli autori cristiani orientali.
Era convinto che l'unione del 1596 fosse una logica continuazione dell'opera delle generazioni precedenti. Compilò una raccolta di opere di autori ecclesiastici sulla vita monastica, che includeva i suoi saggi sull'argomento. La corrispondenza di Kuncevych è stata parzialmente conservata, in particolare con il Gran Cancelliere della Lituania Lev Sapigha, il vescovo Josyp.
Ebbe un amore fervente soprattutto per i poveri, per gli infermi, i malati e per gli orfani. Il metropolita Rafail Korsak (m. 1640) scrisse nei suoi appunti alla Commissione di beatificazione sulla misericordia di San Giosafat: "Non ha mai dimenticato di dare l'elemosina ai poveri, alle vedove e prima di tutto agli orfani. Pertanto, tutti lo adoravano così tanto, aspettandolo alla porta della chiesa, desiderando essere confortati dalla sua parola. E quando andò dall'Arcivescovo di Polock da Vilna, gli uomini miserabili lo accompagnarono, piangendo, come loro guardiano e padre".
Nutriva così forte amore per la Chiesa e la sua unità a domandare a Dio la grazia del martirio, offrendosi in sacrificio per riconciliare all’unità tutte le chiese. Affrontò il martirio, invocando fino all’ultimo il perdono per i suoi uccisori, alcuni dei quali furono così colpiti da quella testimonianza da tornare in comunione con la Chiesa, imitati da molti altri fratelli nella fede.
Nutriva così forte amore per la Chiesa e la sua unità a domandare a Dio la grazia del martirio, offrendosi in sacrificio per riconciliare all’unità tutte le chiese. Affrontò il martirio, invocando fino all’ultimo il perdono per i suoi uccisori, alcuni dei quali furono così colpiti da quella testimonianza da tornare in comunione con la Chiesa, imitati da molti altri fratelli nella fede.
Per lui il suo martirio non fu inaspettato. La desiderava da molto tempo, ne parlava e si preparava per lei; testimone della sua morte, padre Dorothej Letsykovych, dinanzi alla Commissione di beatificazione nel 1628, confessò: "Egli esprimeva sempre il suo desiderio di morire nei sermoni, nelle conversazioni, nelle lettere, e ovunque poteva diceva che non voleva altro che morire per Dio". Ai nemici che lo minacciavano di morte disse: "Mi minacci di morte e io vi dico: non posso essere più felice che morire per mano vostra per la fede cattolica e apostolica".
Morì per essere stato picchiato con colpo dell'ascia dagli oppositori dell'unità della chiesa. Quando l'arcivescovo Kuncevych fu ucciso da una folla inferocita durante un'altra visita pastorale alla città di Vitebsk, il suo corpo fu gettato nel fiume Ovina. Il
martirio, accolto dal santo con
benignità, avvenne nella notte del 12 novembre 1623.
Come scriveva nella sua dal 23 dicembre del 1623 a papa Urbano VIII metropolita Rutskyj, "Giosafat Kuntsevych, arcivescovo di Polotsk ..., il 12 novembre dell'anno corrente 1623, dopo aver lasciato la chiesa la mattina presto della domenica dopo il Mattutino e essersi preparato nella sua camera per la Santa Liturgia domenicale del vescovo, dopo un assedio di tre ore della camera da parte degli abitanti di questa città, che gli si erano rivolti contro con un piano ostile con moschetti e altre armi, dopo aver conquistato la camera episcopale, fu brutalmente ucciso a Vitebsk."
Subito dopo il martirio di Giosafat, furono pubblicati due resoconti agiografici sul martire: il resoconto del metropolita Giuseppe (Veliamin Rutsky) sulla vita e la morte di Giosafat (inviato a Roma all'inizio di aprile del 1624) e l'opera di Gioacchino Morochowski, pubblicata nel 1624 a Zamošč.
Tuttavia, il sermone funebre di Lev Krevza per la sepoltura di Kuncevych a Polotsk, pubblicato nel 1625, si rivelò epocale (data di pubblicazione: 17 gennaio). Come è noto, dopo la tragica morte, il corpo di Giosafat fu trasportato a Polotsk e deposto in una bara nell'altare della chiesa del castello.
La cerimonia funebre dell'arcivescovo Kuntsevych ebbe luogo a Polotsk 27-28 gennaio del 1625. Il sermone fu pronunciato il 28 gennaio da Lev Krevza, dottore di teologia, successivo archimandrita del monastero della Santissima Trinità a Vilnius, in seguito vescovo di Smolensk.
Pagina dell'elogio funebre di Lev Krevza alla sepoltura di Giosafat Kuntsevych, 1625

Krevza L. Kazanie o błogosławionym żywocie i chwalebnej śmierci…Iosaphata Kuncewicza…z Ruskiego iezyka na Polski przełożone… 1625
San Giosafat Kuncevych, arcivescovo di Polock
e martire, che con costante zelo spinse il suo gregge all'unità, è stato crudelmente assalito dalla folla avversa, morì per
l'unità della Chiesa e per la fede cattolica. Vicino al corpo del martire iniziarono a verificarsi i miracoli. Il suo corpo rimase incorrotto e il numeroso clero confermava la sua forza miracolosa. Il vescovo Antin Selyava, successore di Giosafat, dichiarò al processo: "I miracoli di questo servo di Dio sono pronunciati ovunque, sono affermati da un giuramento pubblico".
Tra i miracoli più noti fu la conversione degli uccisori di San Giosafat, tra cui il vescovo ortodosso di Polock Melenij Smotrycky, che pubblicò numerose opere contro l'unione con la Santa Sede e incitò la gente comune alle persecuzioni del San Giosafat e la morte dell'arcivescovo greco-cattolico di Polock collegavano proprio con la sua attività pastorale.
L'immagine sacra della Madre di Dio Intercessore di Leopoli"
(la prima metà del XVII secolo),
dove tra i santi patroni della città è rappresentato Giosafat Kuncevych
Il 30 aprile 1624, la Congregazione De propaganda fide, dopo aver preso conoscenza dei documenti inviati dal metropolita Rutsky, propose di avviare il processo di beatificazione del Servo di Dio Giosafat Kuncevych. Furono documentate le testimonianze di oltre cento testimoni sulla vita, il martirio e i casi di guarigione miracolosa per intercessione di Giosafat. Il processo della beatificazione si iniziò nel 1626. Dopo che si erano verificati numerosi miracoli, Urbano VIII nominò la commissione per indagare sulla causa di Giosafat ed esaminò sotto giuramento i 116 testimoni. Il processo di beatificazione durò fino al 1643.
Si diffusero le testimonianze sui miracoli e sul potere curativo delle sue reliquie, che divennero meta di pellegrinaggio. Nella commissione ecclesiastica del 1628 la miracolosità fu confermata da 300 giuramenti. I
miracoli di Giosafat furono testimoniati innanzitutto dal vescovo di
Galizia e dall'assistente del metropolita di Kyiv Rafail Korsak che nel 1639 venne a Roma.
Il confessore di San Giosafat padre Gennady Khmelnitsky nel 1628 menzionò: "Alla sua tomba vengono da ogni parte, tutti chiedono la sua intercessione e attraverso di lui si ricevono grandi atti di grazia e miracoli". Più di 150 testimoni confermarono la sua santità dopo la sua morte. Il suo zelo e sacrificio ammirarono anche i suoi nemici.
Il metropolita Yosyp Velyamin Rutskyj scrisse alla Sede Apostolica sulla morte di san Giosafat nella sua lettera dal 23 dicembre 1623: "Sono addolorato dal fatto che qualcuno che era la mia mano destra mi sia stato fisicamente portato via... e ho una speranza certa che agirà a nostro favore molto più forte in cielo di quanto potrebbe fare sulla terra, perché questo santo martire ha dato la sua vita per la gloria di Dio, per la santa Unione, per l'autorità della Sede Apostolica".
Oleksandr Tyshkevych, il giudice supremo della regione di Polotsk, che conobbe San Giosafat durante il suo servizio vescovile e parlava spesso con lui, confessò sotto giuramento nel 1628: "So che il servo di Dio Giosafat era considerato e oggi è considerato un santo e grande servitore di Dio e così è stato rispettato".
Szlachtowicz W. Tryumph duchowny…Iosaphata Koncewicza…Lwów, 1628.
Nel 1629 a Cracovia Adam Fabian Birkowski (1564-1636) dottore in teologia, membro dell'Ordine Domenicano pubblico sua opera, uno dei primi sermoni in lode dedicati a Gosafat Kuncevych, pronunciato prima della sua beatificazione (Birkowski A. Voce del sangue di Beato Giosafat (in pol. Głos kwie B. Iozaphata Kuncewicz...) Cracovia, 1629).
Birkowski A. Głos krwie B. Iozaphata Kuncewica…Kraków, 1629.
Il 10 novembre 1629 ebbe luogo il primo processo romano, davanti al Prototeo Apostolico Lorenzo Corsi, nella cappella della sua camera vicino a Piazza Farnese, alle ore 20:00. Al processo testimoniarono: Padre Mykola Lenchytsky, gesuita che aveva conosciuto Giosafat fin da Vilnius nel 1607; Padre Nykyfor Losovsky, basiliano, studente romano che aveva vissuto con Giosafat per molti anni, che entrò nel monastero su sua ispirazione; Padre Filon Tyshkewych, basiliano, che aveva conosciuto Giosafat personalmente dal 1620 fino alla sua morte, e fu testimone dei miracoli avvenuti sulla sua tomba; il chierico Jacob Oransky, uno studente romano di 22 anni, che confessò qualcosa per sentito dire, e soprattutto confessò il miracolo della guarigione del capitano di Łomżycka, di cui fu testimone. Se anche processo si svolse secondo tutte le formalità, tuttavia, fu successivamente archiviato a causa di dubbi sull'autorità del suddetto protonotario. Il caso si trascinò per quasi due anni e nel dicembre 1631 fu deciso negativamente; pertanto, fu ordinato di riesaminare i testimoni romani.
Secondo processo romano si svolse il 5-12 marzo del 1632 su incarico del postulatore P. Nicola Nowak nella sacrestia della chiesa degli Agostiniani, sotto la presidenza dei commissari delegati, Rev.mo Rettore Diotallevi, Vescovo di Sant'Agata, e Cesare Ventimiglia, Vescovo di Terracina, e del notaio Edoardo Tibaldeski; prese parte al processo il promotore della fede Grazioso Uberti; comparvero i seguenti testimoni: l'ex nunzio a Varsavia, Ivan Liancellotti, Vescovo di Nola; P. Niceforo Losowski, Basiliano, e Alberto di Vodejski, laico della diocesi di Vilnius.
Con la testimonianza dei cinque
miracoli il 16 maggio 1643 dopo vent'anni dal suo martirio a Roma papa Urbano VIII (1623-1644) beatificò Giosafat e nominò come giorno della commemorazione il 12 novembre. In occasione della beatificazione di Giosafat fu pubblicata a Roma opera di A. Gerardi "Sommaria relatione della vita,…Giosaphat Cuncevitio…" (Roma, 1643) che si basava sui protocolli del processo di beatificazione.
Gerardi A. Sommaria relatione della vita,…Giosaphat Cuncevitio…Roma, 1643.
Il 12 novembre del 1644 si svolse a Roma la prima celebrazione della festa di questo martire per l'unità della Chiesa.
Wojsznarowicz K. Krwawa Chrystusowa winnica, albo Kazanie o błogosławionym Iozaphacie Kuncewiczu…Kraków, 1647.
Kosiński S. Żywot...B.Iozaphata...Wilno, 1665.
L'amico e confessore di G. Kuncevych padre gesuita Stanisław Kosiński, divenne uno dei principali testimoni del processo di beatificazione e il suo biografo, pubblicando nel 1665 a Vilnus la vita di beato Kuncevych.
Susza J. Cursus vitae et certamen martyrii B.Iosaphat Kuncevicii…Roma, 1665.
Nel 1665 storico basiliano della Chiesa, il vescovo di Kholm e Belz, Jacob Susha pubblicò la biografia più completa dell'epoca di Giosafat Kuncevych (Susha J., Cursus vitae et certamen martyrii B. Josaphat Kuncevicii Archiepiscopi Polocensis.., Romae 1665), basata sui documenti e gli atti del processo di beatificazione, a cui J. Susha ebbe accesso a Roma, dove arrivò come inviato della Chiesa greco-cattolica per accelerare la canonizzazione.
Żochowski C. Wstęp po drodze do… Wilna…Iosaphata…Wilno,1667.
Metropolita di Kyiv degli anni anni 1674-1693, dottore in filosofia e teologia e fondatore della tipografia di Suprasl, Cypriano Žochovsky, pubblicò suo sermone, pronunciato a Vilnius nel 1667 in occasione dell'esposizione delle reliquie di Giosafat (Żochowski C. Wstęp po drodze do... ...Iosaphata...Wilno, 1667), attribuendo al martire l'intervento miracoloso al favore dell'esercito polacco-lituano contro l'esercito moscovita nella battaglia di Polonka nel giugno del 1660.
Żochowski C. Buon pastore nella vita e nella morte... Cracovia, 1669 (Żochowski C. Dobry pasterz w żywocie y śmierci… Kraków, 1669). Il sermone fu predicato a Cracovia l'11 novembre 1669 durante l'incoronazione del re Michele Wiszniewiecki
Malinowski D. Corona d'oro sul capo... (Korona złota nad głową … Wilno, 1673) con una biografia poetica di G. Kuncevych)
La vita di San Giosafat Kuncevych nel nonastero della Santissima Trinità di Vilnius:
"Nel tempio della Santissima Trinità, trascurato dagli apostati, vive come un eremita"
Andrzej Młodzianowski, Immagini simboliche..., 1675. Artista (?) Tom Schnops, c. 1675
Nel 1692 metropolita K. Zhokhovskij include la festa del Beato martire Giosafat come festa liturgica obbligatoria nel Libro delle funzione.
Libro delle funzioni. Vilnius, 1692.
Il Sinodo di Zamoijstjia del 1720 spostò il giorno della sua memoria al 16 settembre.
Celebrazioni per le feste del Santissimo Mistero dell'Eucaristia e del Beato Ieromartire Giosafat. Pochaiv, 1741. In adempimento ai decreti della cattedrale di Zamoyski, il metropolita Atanasio Sheptytsky ordinò la stampa di un servizio separato in onore di G. Kuntsevych.
La copia dalla collezione Dzedushytsky.

Barszcz J. Sermone sul Beato Giosafat Kuncevych, Vilnius:
tipografia dei Padri Basiliani, 1717,
(Barszcz J. Kazanie o błogosławionym Jozafacie Kuncewiczu. Wilno, 1717) con descrizione dei molti miracoli compiuti per intercessione del martire.
Reliquario con le reliquie di San Giosafat Kuntsevych,
Tesoro della cattedrale di Vilnius, 1705–1712

Hoffman J. Rada zdrowa ... Suprasl, 1739. descrive la vita e la virtù di G. Kuntsevych
Isakowicz J. Josaphatidos. Poczajów, 1748
(una ristampa dell'opera scritta nel 1628 dal basiliano Giosafat Isakovych, un poema in tre parti che descrive il martirio, le virtù e la gloria celeste di Giosafat Kuncevych).
Ważyński P. Sermone sulla cerimonia … Wilno, [1762]. Porfirio Ważyński - protoarchimandrita basiliano e vescovo di Kholm
Conversazioni parrocchiali... di Teodosio Rostotskij. Pochaiv, 1784. Teodosio Rostotskij (1725-1805) - metropolita di Kyev, Galizia e di tutta Rus', vescovo di Kholm,. Il libro apparteneva al Vescovo Mykhailo Kuzemsky (1809-1879).
L'incisione della seconda metà del XVIII secolo
Il lavoro per la preparazione al processo di canonizzazione è stato svolto principalmente da un prete (poi arcivescovo) italiano, storico della Chiesa, bibliotecario e archivista, che è stato anche l'archimandrita basiliano a Grottaferrata (1870-76), Nicola (Francesco Saverio) Contieri (1827-1899) con l'assistenza dei monaci di Grottaferrata. Egli fu nominato il 6 febbraio 1864 uno dei tre principali postulatori (gli altri due furono: Mykhailo Dombrowskyj, arcivescovo basiliano in Polonia e il vescovo Josyp Sembratovych (dal 1865)). Sono stati elaborati numerosi documenti d'archivio, tra cui i materiali del processo di beatificazione del 1643 e le opere dedicate a G. Kuntsevych, pubblicate durante tutto il periodo successivo al suo martirio. Alla vigilia della canonizzazione, è stata pubblicata un'opera approfondita di N. Contieri sulla vita e le vicende di G. Kuntsevych. Il valore speciale della sua opera è che contiene il "Catechismo" e le "Regole e Costituzioni per i sacerdoti" scritti dallo stesso Giosafat Kuntsevych, tradotti in latino.
Nicola Contieri prima scrisse e pubblicò una breve biografia di Giosafat prima a Roma e poi alla vigilia della canonizzazione - un'ampia biografia (Vita di s. Giosafat: Arcivescovo e martire ruteno dell'Ordine di S. Basilio il Grande, Roma, Tipografia della S. Congregazione di Propaganda Fede, 1867), che si basava sulla biografia in latino di Kuncevych di Jacob Susha. Nel monastero di Grottaferrata nello stesso anno (dal 18 al 20 ottobre) egli organizzò una celebrazione in onore di San Giosafat. Sotto la guida dell'archimandrita Contiere, i monaci del monastero scrissero e pubblicarono diversi inni in greco dedicati al santo.
224 anni dopo la beatificazione con ulteriori prove diverse e molto rigorose sulla vita di San Giosafat, il 29 giugno 1867 nella basilica Vaticana nella solennità dei principi degli Apostoli, in presenza del Collegio dei Cardinali e circa 500 vescovi, arcivescovi, metropoliti e patriarchi dei diversi riti radunati da ogni parte del mondo, il difensore dell'unità della Chiesa papa Pio IX (1846-1878) proclamò Giosafat come santo con la sua bolla: "Pio, vescovo, servo dei servi di
Dio ..., beato Giosafat, arcivescovo di Polock, di rito bizantino, dell'Ordine di San Basilio Magno, decise di essere santo ed iscriverlo nella lista dei santi martiri". In questa occasione Pio IX disse : "Dio voglia che quel tuo sangue, o San Giosafat, che tu
versasti per la Chiesa di Cristo, sia pegno di quell’unione con questa Santa Sede Apostolica, a cui tu sempre anelasti, e che giorno e notte
implorasti con fervida preghiera da Dio, somma Bontà e Potenza. E perché
tanto si avveri alfine, vivamente desideriamo di averti intercessore
assiduo presso Dio stesso e la Corte del Cielo". Il 6 luglio del medesimo anno tutti i cardinali firmarono un solenne atto di canonizzazione intitolato “La luce fulgida della Chiesa d'Oriente”. Nel 1892 papa Leone XIII estese il suo culto alla Chiesa universale, introducendo l'Ufficio per la festa del Santo.
Spyridon Lytvynovych, vescovo ausiliare della Galizia e poi metropolita Spyridon si impegnò attivamente per accelerare il processo di canonizzazione di San Giosafat. Dopo il ritorno dal viaggio a Roma con una delegazione in occasione della proclamazione di San Giosafat come santo universale, celebrò solenne liturgia durante tre giorni nella cattedrale di San Giorgio a Leopoli, insieme al rappresentante della Sede Apostolica, il nunzio apostolico Falcinelli.

Guepin A. Saint Josaphat. Parigi, 1874. Alphonse Guepin (1836-1917), storico ecclesiastico francese, abate.
Guepin A. Un apotre de l`Union des eglises ... Parigi, 1897
Guepin A. Żywot Ś. Jozafata … na tle Historyi ... Lwów, 1885.
Contieri N. Vita di San Giosafat. Roma, 1867
Il 15 ottobre 1923, il metropolita Andrej Sheptytskij emanò l'Indicazione al clero in occasione dell'anniversario dello ieromartire Giosafat Kuntsevych", un documento ufficiale obbligatorio per l'esecuzione. Il metropolita descrisse dettagliatamente come avrebbe dovuto svolgersi la commemorazione del 300° anniversario del martirio del Santo e sottolineò che non si sarebbe trattato di un evento isolato, ma che l'attenzione dell'intera comunità cristiana alla figura di San Giosafat Kuntsevych avrebbe dovuto essere costante.
"Notizie dell'Archieparchia di Leopoli"dal 25 ottobre 1923
sul festeggiamento dell'anniversario di martire San Giosafat
Il 12 novembre del 1923 nel terzo centenario del suo martirio papa Pio XI pubblicò Enciclica Ecclesiam Dei, sottolineando le sue virtù eroiche, lo definì “l'Apostolo dell’unità”. Con la sua enciclica Pio XI riscopre il significato dell'annuncio di un dialogo ecumenico alla luce della verità nella carità, da cui fu animata tutta la missione di San Giosafat. Il quale, avvertito delle trame contro di lui, così disse pochi giorni prima di morire: “Signore, concedimi di poter versare il sangue per l’unità e per l’obbedienza alla Sede Apostolica”. Il papa Pio XI voleva rimarcare: "Il sangue dunque di San Giosafat, come tre secoli fa, anche e specialmente ora riesce pegno di pace e suggello di unità".
Petro Kholodnyj, Santi Giosafat Kuncevych e Volodymyr il Grande,
chiesa dell'Assunzione a Leopoli, 1925.
Particolare devozione verso San Giosafat aveva San Giovanni XXIII come si evidenzia nell'Omelia del Papa del 13 novembre 1960: "Con singolare compiacenza e ad espressione di religiosa pietà, ricordiamo il titolo del Vescovo e Martire San Giosafat, a cui la liturgia orientale di questo giorno associato al nome del Crisostomo è stata consacrata, e la cui glorificazione fu fremito di pietà e di esultanza religiosa durante il pontificato di Pio IX, quasi sull'aprirsi del Concilio Vaticano I°". All’apertura del Concilio Vaticano II°, il Papa Buono desiderava che nella Basilica di San Pietro fosse sepolto e venerato solennemente San Giosafat ed era proprio egli a decidere l’ubicazione del santo arcivescovo sotto l’altare di San Basilio Magno, nei pressi della tomba di San Pietro. Papa Roncalli sull'esempio del Santo martire Giosafat, si dedicò con grande zelo e impegno al dialogo tra cattolici ed ortodossi, all'unità della Chiesa.

Sofia Nelepynska-Boychuk, icona di San Giosafat Kuncevych, 1910
Disegno di Modest Sosenko, Museo Nazionale Andrej Sheptytskij di Leopoli
Tela di Anton Monastyrsky
Affresco dell'inizio XX secolo, nella chiesa a villaggio di Staryj Oleszych (adesso Polonia)
Anche le spoglie del Santo furono perseguitate ed a causa delle costanti minacce della loro distruzione furono spesso spostate da un luogo all'altro: dopo la morte di Giosafat si trovarono in diversi luoghi in Lituania, Polonia e Bielorussia, prima di arrivare in Austria e dopo a Vaticano.
Nel 1655, quando le truppe russe occuparono la città di Polotsk, il metropolita greco-cattolico Antin Seliava si trasferì e portò le reliquie del Santo al monastero di Zhyrowychi, poi a Zamojstjia. Dopo che Polotsk fu restituita alla Confederazione polacco-lituana, le reliquie di San Giosafat furono trasportate a Polotsk e si collocarono nella cattedrale di Santa Sofia a Polock. All'inizio del XVIII secolo Polotsk fu conquistata dalle truppe russe, l'11 luglio del 1705 quando Pietro I arrivò nella città ed entrò nella chiesa basiliana, uccidendo il prete celebrante, torturando e imprigionando altri basiliani per costringere a tradire la fede cattolica. Nel 1706 il corpo di San Giosafat fu traslato nella cappella della famiglia di Radzvil del castello di Bila Pidlaska, perché lo zar Pietro il Grande aveva ordinato di bruciarlo. Le reliquie rimasero a fino del 1764 (65) nella cappella dei principi Radzivil, poi nella chiesa basiliana /1765-1873) e dopo furano murate nell'umida cantina della chiesa di Bila Podlaska per quarantatré anni.
Durante crisi e l'anarchia nella Confederazione polacco-lituana nel 1764, uno dei Radzivill (discendente del principe Karol Stanisław, che aveva protetto le reliquie) lasciò nuovamente Bila sotto la pressione dei moscoviti, ma prima ordinò che la bara con le reliquie di Giosafat Kuncevych fosse murata in una delle mura del suo castello. Solo il principe in persona, padre Andrij Lodievskyj, igumeno del monastero basiliano di Bila e muratore, conoscevano il luogo. Quando le truppe moscovite entrarono in città, si interessarono alle reliquie di Giosafat, così l'abate Lodievskyj, temendo per la loro sorte, di notte, con alcune persone, rimosse segretamente la bara e la nascose al sicuro nel monastero.
Un anno dopo, per la prima volta dal loro trasferimento da Polotsk in sessant'anni, le reliquie del beato furono esposte alla venerazione del popolo. A Bila Podlaska, i padri basiliani si impegnarono molto per diffondere il culto del beato martire Giosafat. A Bila, le reliquie di Giosafat furono ispezionate dal governo (ne verificarono canonicamente lo stato di conservazione) da diverse commissioni speciali nel 1780, 1785, 1797, 1800 e 1826, che conclusero i protocolli di queste ispezioni; nel 1788 e nel 1789, le reliquie ispezionò privatamente Porfiry Vazhynskyj prima come protoarchimandryta dell'Ordine basiliano, poi come vescovo di Kholm.
La polizia zarista nel 1863 murò le sue reliquie sotto il pavimento della chiesa. Anche se nel 1867 era proclamato Giosafat Kuncevych santo, ancora non si sapeva preciso l’ubicazione del suo corpo. Dopo la caduta dell'arcivescovado di Polotsk, prima dell'invasione moscovita, vescovo Gabriel Kolenda, nonostante il pericolo per la propria vita, salvò le reliquie di San Giosafat e le portò in un monastero di Supasl.
Il 20 novembre 1915, per la prima volta il luogo in cui erano murate le reliquie fu aperto, ma per un po' per si attendeva ancora tutti i permessi necessari per rimuovere la bara e trasportarla in un luogo più sicuro. Il 9 luglio 1916, la bara con le reliquie fu smontata e le reliquie furono trasferite in un'altra bara.
Il metropolita Andrej cercò personalmente il trasferimento delle reliquie di San Giosafat a Vienna già nel 1915 per salvarle dalla prigionia russa e da una possibile profanazione (perché nell'inverno 1915/16, Leopoli fu occupata dall'esercito russo). Il 17 luglio 1916, le reliquie di San Giosafat furono trasportate a Vienna e deposte nella chiesa greco-cattolica di Santa Barbara. Il 15 settembre del 1916 fu condotto il primo esame dell'autenticità delle reliquie. Il 30 agosto del 1917 a Vienna il servo di Dio il metropolita Andrey Sheptytsky al ritorno della prigione russa insieme all'arcivescovo di Vienna il cardinale Piffle eseguirono solennemente la conferma canonica dell'autenticità delle reliquie di San Giosafat.
In questa occasione, l'imperatrice Zita offrì preziosi doni in segno di gratitudine e l'arciduca Guglielmo, figlio dell'arciduca Carlo Stefano, offrì un pettorale. Molti austriaci donarono alla tomba le reliquie di San Giosafat doni di grande valore, chiedendo intercessione, pregando per la pace e la fine della guerra. Tra questi doni ce n'era uno speciale: l'Ordine del Toson d'Oro, in segno di stretti legami con la dinastia imperiale. Purtroppo, tutti questi preziosi doni furono rubati nel 1936.
Le reliquie di San Giosafat rimasero a lungo sull'altare maggiore della chiesa di Santa Barbara. Successivamente, a destra dell'iconostasi, fu costruita la cappella di San Giosafat, in cui le sue reliquie rimasero aperte al culto fino alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, le reliquie di San Giosafat furono trasferite a Roma. Una piccola parte delle reliquie è conservata nell'Arca sull'altare della cappella di San Giosafat, dove possiamo ancora offrire le nostre preghiere a questo santo veneratissimo dai cattolici ucraini.
Le spoglie furono ritrovate solo nel 1916 e furono trasportate a Vienna (seguendo un decreto del governo austriaco), prima nella chiesa di Santa Barbara (1916-1944), dove nel 1924 sarà costruita la cappella in onore di San Giosafat, dopo, quando iniziarono i bombardamenti della città nella primavera del 1944, nella chiesa di San Rocco (1944-45) e poi, quando posto dove si trovava la chiesa di San Rocco passò sotto il controllo del comando militare sovietico nel 1945, erano nascoste nei sotterranei dalla cattedrale di Santo Stefano (1945-49).
Nel 1949 le reliquie furono portati dall'Austria su ordine di Pio XII, la salma, raccolta in una grande urna, fu portata a Roma e ad accoglierla e custodirla fu monsignor Giovanni Battista Montini, sostituto alla Segretaria di Stato, futuro Paolo VI (ciò è stato raccontato nel Discorso di Paolo VI del 3 settembre 1971).
L'importante decisione di spostare le reliquie di San Giosafat accanto alla tomba di San Pietro era stata presa da San Giovanni XXIII come gesto simbolico per rafforzare l'unità tra le Chiese cattolica d'Oriente e d'Occidente, ed è stata portata a compimento da il Santo Paolo VI. La traslazione delle reliquie del santo ucraino dal monastero delle suore francescane nella basilica di San Pietro in Vaticano avvenne privatamente il 22 novembre 1963 con la partecipazione del cardinale Josyf Slipy e poi furono esposti alla venerazione generale nella basilica di San Pietro, nell'altare del lato destro sull'altare di San Basilio Magno.

Durante le ultime settimane del Concilio Ecumenico Vaticano II° venne preparato il posto presso l'altare dedicato a San Basilio Magno della basilica di San Pietro. Il 22 novembre del 1963 il corpo del Santo venne lì collocato e il 25 novembre fu celebrata la solennità nel rito bizantino in onore di San Giosafat, presieduta dal papa Paolo VI, in presenza di quattro cardinali, alcuni patriarchi orientali e della gerarchia ucraina guidata dal cardinale Josyp Slipyj. Il senso simbolico di questa traslazione fu sottolineata da Paolo VI : "La vicinanza delle sacre spoglie mortali del Martire dell’unione col sepolcro glorioso di Pietro, nella Basilica Vaticana, è un suadente e forte incoraggiamento a questi sentimenti, mentre conforta a pensieri incrollabili di speranza e di fiducia nel futuro, che sta nelle mani di Dio, ben consapevoli, come ha scritto il nostro Predecessore San Leone Magno, che «semper dominicus ager segete ditiore vestitur, dum grana, quae singula cadunt, multiplicata nascuntur» (Sermo 82, 1, 6, PL 54, 426)" (dal Discorso alle comunità cattoliche ucraine nel 24 novembre del 1973 per la commemorazione del 305° anniversario del martirio di San Giosafat). Il papa propone "la mite e forte figura del Martire dell’unione", "davvero un faro di luce", "[...] come esempio non solo al clero, ai religiosi, alle anime consacrate e ai membri generosi del laicato cattolico, ma altresì ai Vescovi di tutto il mondo: modello sublime per essi di dedizione totale alle anime e alla verità, fino all'estremo respiro".
San Paolo VI inginocchiato davanti al sepolcro di San Giosafat nella Basilica di San Pietro,
il 25 novembre del 1963
Nel discorso svolto il 12 febbraio del 1983 al Sinodo della Chiesa greco-cattolica il santo Papa Giovanni Paolo II disse: "Come un luminare splendente riluce fino ai giorni nostri per tutti noi la figura di san Giosafat, Arcivescovo di Polock, martire e apostolo per l'unità ecclesiastica. Sia completa l'unione delle vostre forze per il bene delle comunità". Nella sua Lettera Apostolica "Per il quarto centenario dell'unione di Brest" data il 12 novembre, proprio nel giorno della memoria di San Giosafat dell’anno 1995, Giovanni Paolo II scrisse, sottolineando il significato di San Giosafat: "Eppure, tanta vitalità ecclesiale fu sempre percorsa dal dramma dell’incomprensione e dell’opposizione. Ne fu vittima illustre l’arcivescovo di Polock e Vitebsk, Giosafat Kuncevych, il cui martirio fu coronato con l’immarcescibile corona della gloria eterna. Ora il suo corpo riposa nella Basilica vaticana, ove di continuo riceve l’omaggio commosso e grato di tutta la cattolicità".
Dall'enciclica
«Ecclesiam Dei» di Pio XI, papa, scritta in occasione del terzo
centenario del martirio di San Giosafat Kuncevych e promulgata il 12 novembre 1923: "La Chiesa di Dio, per ammirabile provvidenza, fu costituita in modo da
riuscire nella pienezza dei tempi come un'immensa famiglia. Essa é
destinata ad abbracciare l'universalità del genere umano e perciò, come
sappiamo, fu resa divinamente manifesta per mezzo dell'unità ecumenica
che é una delle sue note caratteristiche. Cristo, Signor nostro, non si
appagò di affidare ai soli apostoli la missione che egli aveva ricevuto
dal Padre, quando disse: «Mi é stato dato ogni potere in cielo e in
terra. Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni» (Mt 28, 18-19). Ma
volle pure che il collegio apostolico fosse perfettamente uno, con
doppio e strettissimo vincolo. Il primo é quello interiore della fede e
della carità, che é stata riversata nei cuori per mezzo dello Spirito
Santo (cfr. Rm 5, 5). L'altro é quello esterno del governo di uno solo
sopra tutti.
A Pietro, infatti, fu affidato il primato sugli altri apostoli come a perpetuo principio e visibile fondamento di unità. Ma perché tale unità e concordia si perpetuasse, Iddio, sommamente provvido, la volle consacrare, per così dire, col sigillo della santità e, insieme, del martirio. Un onore così grande é toccato appunto a san Giosafat, arcivescovo di Polock, di rito slavo orientale, che a buon diritto va riconosciuto come gloria e sostegno degli Slavi orientali. Nessuno diede al loro nome una rinomanza maggiore, o provvide meglio alla loro salute di questo loro pastore ed apostolo, specialmente per aver egli versato il proprio sangue per l'unità della santa Chiesa. C'è di più. Sentendosi mosso da ispirazione divina a ristabilire dappertutto la santa unità, comprese che molto avrebbe giovato a ciò il ritenere nell'unione con la Chiesa cattolica il rito orientale slavo e l'istituto monastico basiliano.
E parimenti, avendo anzitutto a cuore l'unione dei suoi concittadini con la cattedra di Pietro, cercava da ogni parte argomenti efficaci a promuoverla e a consolidarla, principalmente studiando quei libri liturgici che gli Orientali, e i dissidenti stessi, sono soliti usare secondo le prescrizioni dei santi padri.
Premessa una così diligente preparazione, egli si accinse quindi a trattare, con forza e soavità insieme, la causa della restaurazione dell'unità, ottenendo frutti così copiosi da meritare dagli stessi avversari il titolo di «rapitore delle anime»". (AAS 15 [1923] 573-582).
A Pietro, infatti, fu affidato il primato sugli altri apostoli come a perpetuo principio e visibile fondamento di unità. Ma perché tale unità e concordia si perpetuasse, Iddio, sommamente provvido, la volle consacrare, per così dire, col sigillo della santità e, insieme, del martirio. Un onore così grande é toccato appunto a san Giosafat, arcivescovo di Polock, di rito slavo orientale, che a buon diritto va riconosciuto come gloria e sostegno degli Slavi orientali. Nessuno diede al loro nome una rinomanza maggiore, o provvide meglio alla loro salute di questo loro pastore ed apostolo, specialmente per aver egli versato il proprio sangue per l'unità della santa Chiesa. C'è di più. Sentendosi mosso da ispirazione divina a ristabilire dappertutto la santa unità, comprese che molto avrebbe giovato a ciò il ritenere nell'unione con la Chiesa cattolica il rito orientale slavo e l'istituto monastico basiliano.
E parimenti, avendo anzitutto a cuore l'unione dei suoi concittadini con la cattedra di Pietro, cercava da ogni parte argomenti efficaci a promuoverla e a consolidarla, principalmente studiando quei libri liturgici che gli Orientali, e i dissidenti stessi, sono soliti usare secondo le prescrizioni dei santi padri.
Premessa una così diligente preparazione, egli si accinse quindi a trattare, con forza e soavità insieme, la causa della restaurazione dell'unità, ottenendo frutti così copiosi da meritare dagli stessi avversari il titolo di «rapitore delle anime»". (AAS 15 [1923] 573-582).
L'icona eseguita da Modest Sosenko, la chiesa basiliana a Zolochiv
L'appello d'onorare e imitare San Giosafat - nell'amore alla santa Fede, la Chiesa, il rito e il popolo - furono le parole del patriarca Josyf cardinale Slipyj, che il 25 novembre 1969 disse alla tomba di San Giosafat: “Possa San Giosafat essere una fedele guida per il popolo, fino a quando avremo la nostra vittoria. Ha difeso l'unità della Chiesa e del popolo durante tutta la sua vita. Anche a Polotsk, in Bielorussia, si sentiva ucraino e convinse anche i monaci delle Grotte a Kyiv. Il suo carattere forte e l'eroica santità della sua vita dovrebbero anche incoraggiarci a seguire le sue orme, anche se ci costa sacrifici, è necessario quando si tratta del bene di Dio, della Chiesa e del popolo”(Annunciazione, V, 1-4, 1969).
La tomba di San Giosafat, Apostolo martire per l'unità della Chiesa,
nella Basilica di San Pietro a Roma alla destra della tomba di San Pietro.
Tropario, voce 4:
Sei apparso come una lampada luminosa, santo martire Giosafat,
perché come buon pastore hai dato la vita per le pecore,
sei stato ucciso dai tuoi nemici che amavano la lotta ed entrasti nel Santo dei Santi, dimorando con l'incorporeo.
Perciò ti preghiamo, o longanime: prega il Sommo Pastore, Cristo,
di renderci degni di stare nell'ovile giusto delle pecore e salvare le nostre anime.
Gloria al Padre e Figlio e allo Spirito Santo: Kontakion, voce 4:
Illuminato nella giovinezza dal fulgore ardente di Cristo crocifisso,
sei stato paragonato agli angeli nella vita monastica
e hai vissuto piamente nella santità:
hai predicato chiaramente l'unità e hai spento i cuori divisivi,
infiammati dalla discordia, con il tuo sangue di martire,
e hai ricevuto una corona da Cristo.
Perciò, ricordati di noi, ti invochiamo:
Rallegrati, incrollabile colonna di unità.
E ora: di Theotokos, voce 4:
E ora: di Theotokos, voce 4:
Gioacchino e Anna furono liberati dall'ignominia della sterilità,
ed Adamo ed Eva dalla corruzione della morte,
o Purissima, nella tua santa Natività.
Il tuo popolo la celebra, liberato dalla colpa dei peccati, mentre grida a te:
La sterile dà alla luce la Madre di Dio e il nutrimento della nostra vita.
MESSALE
INTROITVS
ORATIO
Excita, quǽsumus, Dómine, in Ecclésia tua Spíritum, quo replétus
beátus Jósaphat Martyr et Póntifex tuus ánimam suam pro óvibus pósuit: ut, eo
intercedénte, nos quoque eódem Spíritu moti ac roboráti, ánimam nostram pro
frátribus pónere non vereámur.Per Dominum nostrum Jesum Christum, Filium tuum: qui tecum vivit et regnat in unitate eiusdem Spiritus Sancti Deus, per omnia saecula saeculorum.
Propter testaméntum Dómini et leges patérnas, Sancti Dei perstitérunt in amore fratérnitatis: Quia unus fuit semper spíritus in eis, et una fide
Petro Kholodnyj, la vetrata con la rappresentazione di San Giosafat,
chiesa di San Nicola a Mrazhnycia, l'inizio del XX secolo
Le reliquie di San Giosafat che dalla chiesa di Santa Barbara a Vienna
sono state regalate alla diocesi greco-cattolica di Bielorussia
sono state regalate alla diocesi greco-cattolica di Bielorussia
Josef Zimler, Il Martirio di San Giosafat, 1861, Museo Nazionale a Varsavia
Frammento dall'enciclica «Ecclesiam Dei» di Pio XI, papa
Pertanto questa restaurazione dell’unità durò a Kiev per molti anni; ma vi si aggiunsero poi nuove ragioni di rottura coi rivolgimenti politici, maturatisi negli inizi del secolo XVI. Senonché fu di nuovo felicemente rinnovata nel 1595, e l’anno successivo, al Concilio di Brest, promulgata per opera del metropolita di Kiev e di altri Vescovi Ruteni. Clemente VIII li accolse con ogni affetto, e pubblicando la costituzione «Magnus Domini » invitò tutti i fedeli a rendere grazie a Dio, « il quale ha sempre pensieri di pace, e vuole che tutti gli uomini siano salvi e pervengano alla conoscenza della verità »
Ma perché tali unità e concordia si perpetuassero, Iddio, sommamente provvido, le volle consacrare, per così dire, col sigillo della santità e del martirio. Un così grande vanto è toccato a San Giosafat, Arcivescovo di Polotsk, di rito slavo orientale, che a buon diritto va riconosciuto come gloria e sostegno degli Slavi Orientali, poiché a fatica si troverà un altro che abbia dato al loro nome un lustro maggiore, o che meglio abbia provveduto alla loro salute, di questo loro Pastore ed Apostolo, specialmente per aver egli versato il proprio sangue per l’unità della santa Chiesa. Ricorrendo dunque il trecentesimo anniversario del suo gloriosissimo martirio, Ci è sommamente caro rinnovare la memoria di un così grande personaggio, affinché il Signore, invocato dalle suppliche più fervorose dei buoni, « susciti nella sua Chiesa quello spirito, di cui il beato Martire e Pontefice Giosafat era ripieno… tanto che diede la sua vita per le sue pecorelle »[10], così che, crescendo tra il popolo lo zelo nel promuovere l’unità, ne abbia incrementato l’opera che gli fu tanto a cuore, finché si avveri quella promessa di Cristo e insieme il desiderio di tutti i Santi, che « vi sia un solo ovile ed un solo Pastore » [11].
Egli nacque da genitori separati dall’unità, ma, religiosamente battezzato col nome di Giovanni, incominciò fin dall’età più tenera a coltivare la pietà; e mentre seguiva lo splendore della liturgia slava, cercava soprattutto la verità e la gloria di Dio: e per questo, non per impulso di ragioni umane, si rivolse, fanciulletto ancora, alla comunione della Chiesa ecumenica, cioè cattolica, a cui giudicava di essere già destinato per la stessa validità del suo battesimo. Anzi, sentendosi mosso da ispirazione divina a ristabilire dappertutto la santa unità, comprese che molto avrebbe giovato a ciò il ritenere nell’unione con la Chiesa cattolica il rito orientale slavo e l’istituto monastico Basiliano. Perciò, accolto nell’anno 1604 fra i monaci di San Basilio, e mutato il nome di Giovanni in quello di Giosafat, si consacrò interamente all’esercizio di tutte le virtù, specialmente della pietà e della penitenza, dimostrando sempre un singolare amore per la Croce: amore che fino dai primi anni egli aveva concepito dalla contemplazione di Gesù Crocifisso.
Così il metropolita di Kiev, Giuseppe Velamin Rutsky, il quale era a capo di quello stesso monastero in qualità di archimandrita, testimonia che « egli in breve tempo fece tali progressi nella vita monastica da poter esser maestro agli altri ». Sicché, appena ordinato sacerdote, Giosafat si vide eletto a governare il monastero in qualità di archimandrita. Nell’esercizio di tale ufficio non solo si adoperò a mantenere e a difendere il monastero e l’attiguo tempio, assicurandoli contro gli assalti nemici, ma inoltre, avendoli trovati pressoché abbandonati dai fedeli, fece di tutto per farli nuovamente frequentare dal popolo cristiano. E in pari tempo, avendo anzitutto a cuore l’unione dei suoi concittadini con la cattedra di Pietro, cercava da ogni parte argomenti giovevoli a promuoverla e a consolidarla, principalmente studiando quei libri liturgici che gli Orientali, e i dissidenti stessi, sono soliti usare secondo le prescrizioni dei Santi Padri.
Premessa una così diligente preparazione, egli si accinse quindi a trattare, con forza e soavità insieme, la causa della restaurazione dell’unità, ottenendo frutti così copiosi da meritare dagli stessi avversari il titolo di « rapitore delle anime ». Ed è veramente mirabile il gran numero delle anime da lui condotte all’unico ovile di Gesù Cristo, da tutti gli ordini e da tutte le classi sociali, plebei, negozianti, cavalieri, e anche prefetti e governatori di province, come narrano del Sokolinski di Polotsk, del Tyszkievicz di Novogrodesc, del Mieleczko di Smolensk. Ma ad un campo ben più vasto ancora estese il suo apostolato, quando venne nominato vescovo a Polotsk: apostolato che doveva essere di una straordinaria efficacia, mentre egli offriva l’esempio di una vita di somma castità, povertà e frugalità ed insieme di tanta liberalità verso gli indigenti da giungere fino ad impegnare l’omophorion per sovvenire alla loro miseria. Nel frattempo si manteneva rigidamente nell’ambito della religione, non occupandosi minimamente di negozi politici, sebbene a lui non mancassero più d’una volta grandi sollecitazioni ad ingerirsi delle cure e delle lotte civili, mentre infine si sforzava, con lo zelo insigne d’un Vescovo santissimo, ad inculcare senza posa, con la parola e con gli scritti, la verità. Egli infatti pubblicò diversi scritti, da lui redatti in forma del tutto adatta all’indole del suo popolo, quali sul primato di San Pietro, sul battesimo di San Vladimiro, un’apologia dell’unità cattolica, un catechismo fatto sul metodo del beato Pietro Canisio, ed altri simili. Siccome poi insisteva molto nell’esortare alla diligenza del proprio ufficio l’uno e l’altro clero, ridestatosi nei sacerdoti lo zelo del loro ministero, riuscì ad ottenere che il popolo, debitamente ammaestrato nella dottrina cristiana e nutrito da un’appropriata predicazione della parola di Dio, si avvezzasse a frequentare i Sacramenti e le sacre funzioni e si desse ad un tenore di vita sempre più corretta. E così, ampiamente diffuso lo spirito di Dio, San Giosafat consolidò stupendamente l’opera dell’unità, a cui si era dedicato. Ma soprattutto allora egli la consolidò, e consacrò anzi, quando per essa incontrò il martirio, e l’incontrò col più vivo entusiasmo e con la magnanimità più mirabile. Al martirio sempre pensava, spesso ne parlava. Il martirio si augurò in una celebre predica. Il martirio ardentemente domandava a Dio quale singolare beneficio, tanto che, pochi giorni prima della morte, quando fu avvertito delle insidie che gli si macchinavano: « Signore — disse — concedimi di poter versare il sangue per l’unità e per l’obbedienza della Sede Apostolica ». Il suo desiderio fu appagato la domenica 12 novembre 1623 quando, circondato dai nemici che andavano in cerca dell’Apostolo dell’unità, egli si fece loro incontro sorridente e benigno, e pregatili, ad esempio del suo Maestro e Signore, che non toccassero i suoi familiari, si diede da sé nelle loro mani; e mentre veniva crudelissimamente ferito, non cessò sino all’estremo di invocare il perdono di Dio sopra i suoi uccisori.
Grandi furono i vantaggi di un così famoso martirio, soprattutto tra i Vescovi Ruteni che ne trassero vivo esempio di fermezza e coraggio, come essi stessi attestarono, due mesi dopo, in una lettera spedita alla Sacra Congregazione di Propaganda: «Ci offriamo prontissimi a dare il sangue e la vita per la fede cattolica, come la diede già uno di noi ». Inoltre moltissimi, e fra questi gli uccisori stessi del Martire, fecero ritorno, subito dopo, al seno dell’unica Chiesa.
Il sangue dunque di San Giosafat, come tre secoli fa, anche e specialmente ora riesce pegno di pace e suggello di unità: specialmente ora, diciamo, dopo che quelle sfortunate province slave, sconvolte da torbidi e da sommosse, sono state insanguinate da guerre furiose e spietate. E a Noi sembra di udire la voce di quel sangue, « che parla meglio di quello di Abele», e di vedere quel martire rivolgersi ai fratelli Slavi ripetendo, come un tempo, con le parole di Gesù: «Le pecorelle giacciono senza pastore. Ho compassione di questa moltitudine». E veramente, quanto miseranda è la loro condizione! Quanto terribili le loro angustie! Quanti esuli dalla patria! Quanta strage di corpi e quanta rovina di anime! Osservando le presenti calamità degli Slavi, certamente assai più gravi di quelle ch’ebbe a lamentare il nostro Santo, a stento Ci riesce, per il nostro affetto paterno, di frenare le lacrime.
Ad alleviare sì grande cumulo di miserie, Noi, per parte Nostra, Ci affrettammo, è vero, a recare soccorsi ai bisognosi, senza alcuna mira umana, senza far altra distinzione che non fosse quella della più stringente necessità. Ma la Nostra possibilità non poté arrivare a tutto. Anzi, non potemmo impedire che si moltiplicassero le offese contro la verità e la virtù, col disprezzo di ogni sentimento religioso, con il carcere e con la persecuzione, in più luoghi anche sanguinosa, dei cristiani e degli stessi sacerdoti e vescovi.
Nella considerazione di tanti mali, Ci conforta non poco la solenne commemorazione dell’insigne Pastore degli Slavi, perché Ci porge propizia l’occasione di manifestare i sentimenti paterni che Ci animano verso tutti gli Slavi Orientali e di mettere loro dinanzi, come la sintesi di tutti i beni, il ritorno all’unità ecumenica della santa Chiesa.
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Эпiсталяцыя сьвятога Язафата / Уклад.: М. Баўтовiч. Полацк : Грэка-каталіцкая парафія Сьвятапакутніка Язафата, 2006. 144 с.
Катехизм од слуги Божого Иосафата сочетанный // Старажытная беларуская літаратура. Мінск : Беларускі кнігазбор, 2007. C. 392–401.
Kazanie о światobliwym Zywoćie y chwalebney śmierći
Przewielebnego w Bodze oyca Iosaphata Kuncewicza
Arcybiskupa Połockiego, Witebskiego y Mseisławskiego
w cerkwi Cathedralney Połockiey przy depozyciey ćiała
iego odprawowane od oyca Leona Kreuży Nominata na
Episkopstwo Smolenskie (переклад з руської). 1625,
17 January. б/п.
J. SUSZA, Cursus vitæ et certamen martyrii B. Josaphat Kuncevicii, Romae 1665, (Parisiis 1865)
J. SUSZA, Saulus et Paulus Ruthenæ Unionis sanguine B. Josaphat transformatus sive Meletius Smotricius, Romae, 1666
N. CONTIERI, Vita di S. Giosafat Arcivescovo e Martire Ruteno dell' Ordine di S. Basilio il Grande, Rome 1867.
A. GUÉPIN - W. KALINKA, Żywot ś. Jozafata Kuncewicza męczenika, arcybiskupa Połockiego połockiego: opowiedziany na tle historyi kościoła ruskiego. Lwów : Gubrynowicz i Schmidt, 1885. 439 s.
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KOZANEVYC, Zytje sv. Svjašcenomucenyka Josafata Kuncevyca, Zovkva 1902
URBAN, Swiety Józafat Kuncewicz, biskup i meczennik, Kraków 1906
ЖУКОВИЧ П.Н. Убийство Иосафата Кунцевича. "Христианское чтение", 1907, сентябрь
ЩУРАТ В. Найстарші образи і власноручне письмо
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Боцян Й. P. Georg Hofmann S. J., Prof. Der orient.
Kirchengeschichte im Päpstl. Institut. Der hl. Josaphat,
Erzbischof von Polozk und Blutzeuge. Quellenschriften in
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Istituto Orientale. «Orientalia Christiana». Vol. 1 (1923).
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La prima pubblicazione dell'articolo è del 11/11/19

































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