Pavlo Tycyna (1891-1967)
illustre poeta ucraino del XX secolo
Pavlo Tycyna
Pavlo Tycyna era un illustro poeta, traduttore, pubblicista ed uomo politico ucraino, direttore dell’Istituto di
Letteratura dell’Accademia delle Scienze dell’URSS (1936-39, 1941-43),
presidente del Consiglio Supremo dell’URSS (1953-59), ministro
dell’Istruzione (1943-48).
Nacque il 27 gennaio (15) 1891 nel villaggio di Pisky, distretto di Kozelets, provincia di Chernihiv (ora distretto di Bobrovytsia, regione di Chernihiv). Proviene da un'antica famiglia cosacca (il suo antenato, secondo la leggenda di famiglia, era un colonnello di Bohdan Khmelnytsky). Il padre del futuro poeta era un diacono del villaggio ed un insegnante di "scuola di alfabetizzazione". Fin dalla tenera età ha mostrato un talento per la musica, il disegno e la poesia.
Dal 1900 al 1907 studiò al prima nel Collegio Teologico e poi al Seminario Teologico di Cherinihiv (dal 1907 al 1913). Più tardi, mentre studiava all'Istituto commerciale di Kyiv, ha lavorato nel quotidiano "Rada". A quel tempo aveva le conoscenze personali con i rappresentanti più famosi della cultura ucraina. Nel 1913-1914 fu direttore della rivista liberale in lingua ucraina "Svitlo" ("La Luca"), e dopo la sua chiusura lavorò nell'Ufficio statistico di Chernihiv. Dal 1916 al 1917 fu assistente maestro del coro al teatro ucraino Sadovsky. Nel 1920 viaggiò con la cappella "Dumka" di Kyrylo Stetsenko da Kyiv ad Odessa. Nello stesso anno organizzò il coro (dal 1921 - Cappella-atelier intitolato a M. Leontovych), con il quale si esibì fino al 1923. Dal 1923 al 1934 fu condirettore della rivista "La strada rossa" (Kharkiv). Era membro dell'Unione "Gart" degli scrittori proletari dell'Ucraina, fondata nel 1923. Nel 1926 partecipò attivamente alla creazione della VAPLITE (Libera Accademia di Letteratura Proletaria) guidata da Mykola Khvylovyj, che comprendeva ex membri del "Gart".
Dal 1929 divenne il membro al pieno titolo dell'Accademia delle scienze dell'URSS, nel 1936-1939 e nel 1940-1943 diresse l'Istituto di letteratura dell'Accademia delle scienze dell'URSS. Dal 1947 - Membro-Corrispondente dell'Accademia delle scienze bulgara, dottore in filologia. 1943-1948 - Ministro della Pubblica Istruzione dell'URSS. Dal 1953 al 1959 - Presidente della Verkhovna Rada dell'URSS, vice-presidente del Consiglio Nazionale (Verkhovna Rada dell'URSS), membro di molte società, comitati, presidi. Vincitore del Premio di Stato dell'URSS (1941), del Premio di Stato Taras Shevchenko dell'URSS (1962). Nel 1967 è stato insignito del titolo dell'Eroe del lavoro socialista. Morì il 16 settembre 1967 a Kyiv.
Molti anni di sfruttamento del nome e dell'autorità dell'artista da parte del sistema totalitario divennero la causa del suo profondo conflitto interno con se stesso, portando al declino della sua reputazione di poeta agli occhi dei compatrioti e della comunità mondiale. I contemporanei hanno mostrato un atteggiamento ambiguo nei confronti del suo lavoro, riluttanza a scavare nei suoi sottointesi motivi nascosti. Tycyna ha sentito acutamente la tragedia della sua posizione di ingranaggio nella macchina ideologica totalitaria (come evidenziato, in particolare, dalle sue stesse valutazioni, analisi del suo lavoro, natura delle relazioni con un altro importante poeta ucraino - Yevhen Malanyuk).
Pavlo Tycyna iniziò come poeta nel 1906-1910 con un'ingenua imitazione di canzoni popolari e opere di Taras Shevchenko. Le prime opere a stampa del giovane poeta apparvero nel 1912. L'evento di grande importanza nella moderna letteratura ucraina fu la pubblicazione della prima raccolta di poesie "Clarnete Solare" (1918), intrisa della fede solare nella vita, nell'uomo, nella persone autoctone svantaggiate. Questo libro ha immediatamente collocato il poeta ventisettenne accanto ai principali artisti del moderno revival ucraino. Il primo sistema simbolista di Tycyna si basa sulla fusione di tradizionale, popolare e unico, individuale, sull'oscillazione tra realtà e sogno, percezione estetica dello spazio e "Io" risonante ... Al cuore della ricerca dell'artista, secondo i ricercatori, - l'antico codice filosofico e culturale: l'io umano e Dio, l'universo.
Tycyna affermò l'idea della poesia come una forma d'arte sintetica, ciò comportò il trasferimento sul piano della poesia delle arti correlate. Nella sua poesia "Clarinetti solari" le immagini visive si alternano a quelle uditive: il suono è dato "colore", il colore suonava.
Nelle poesie di questo periodo si possono trovare echi con Rabindranath Tagore, Walt Whitman, Emil Verhaarn, ma loro, queste poesie, rimangono originali e autosufficienti. Tycyna è stato fortemente influenzato da Mychajlo Kotsyubynsky (si incontravano spesso e comunicavano nell'ultimo periodo della vita di Kotsyubynsky a Chernihiv), Peshkov (Maxim Gorky).
In termini di tensione tragica, emotività e natura filosofica, l'opera di Tycyna viene confrontata con l'opera del riformatore della lingua poetica inglese Thomas S. Eliot, vincitore del premio Nobel (1948). Tra i compositori e gli artisti fu spiritualmente vicino a Liszt, Berlioz, Rimsky-Korsakov, Mikalojus Čurlionis e Martiros Saryan. Durante la vita di Tycyna c'è stata una pressione costante e straordinaria su di lui, sulla sua attività creativa. L'impressionismo e il particolare carattere compositivo delle sue opere, a cominciare dalle raccolte "Plug" (1920) e "Il vento da Ucraina" (1924), vengono sempre più ammorbidite e sostituite prima da formulazioni retoriche e poi da formulazioni astratte. Un punto di svolta nell'opera del poeta è la raccolta "Chernihiv" (1931), che segnò il suo passaggio al numero di autori "ufficiali". Tuttavia, l'opera di Tycyna non si adattavano al schemi semplici: la sua nascosta opposizione al totalitarismo non si ferma qui.
Poesie del poeta Pavlo Tycyna,
tradotte da Paolo Statuti
Sentivate lo stormire del tiglio…
a primavera in una notte di luna?
L’amata dorme, l’amata dorme…
Va’, svegliala e bacia i suoi occhi!
L’amata dorme…
Sentivate? – così il tiglio stormisce.
Sapete come dormono gli spiriti del bosco?
Essi tutto vedono attraverso le nebbie.
Ecco la luna, le stelle, gli usignoli…
«Io sono tuo» – sussurrano i cieli
E gli usignoli!..
Sì, voi già sapete come dormono i boschi!
1911
* * *
Di arpe, di arpe
dorate echeggiano i boschetti
Autosonanti:
Viene la primavera
Profumata,
Di fiori-perle
ornata.
Con canti, con canti –
Come il mare di vascelli pallido-iridati
si è coperto l’azzurro:
Verrà la lotta
Infocata!
Si riderà, si piangerà
Come fonte di perle…
Starò lì, guarderò –
dovunque ruscelli-campanule, l’allodola
dal tono dorato:
Viene la primavera
Profumata,
Di fiori-perle
Ornata.
Mia cara, mia diletta –
cammini colma di tristezza
o di felicità.
Oh, apri
le spighe delle ciglia!
Si riderà, si piangerà
Come fonte di perle…
1914
Tutto il prato è fiorito…
Dorato di pioggia tutto il prato è fiorito,
E lontano, come tanti acquerelli, –
Le case azzurrine, il bosco assopito…
Ah, cuore, canta!
Canta dall’ultimo calice, –
Dell’autunno ci ha baciati
La stupenda tristezza.
Solitario tra campi estranei,
Sto come vittima abbandonata, – so
Che la natura ascolta la mia pena,
Attraverso il riso e il pianto.
Come bellissima principessa –
Essa è piena di antica mestizia,
Che a tutti con cura cela.
Qui io prego. Silenzio dopo la tempesta –
Come davanti al quadro di una madonna.
Sui villaggi scorrono, abbracciate, le campane, –
Rabeschi di lacrime.
Da dietro le nubi fluisce nostalgico
Il richiamo delle gru che migrano,
Come petali di rose di broccato…
Ecco un salice che guarda lontano,
E coglie le corde della pioggia.
Sembra che sussurrino i giovani rami:
Tristezza, tristezza…
Così per anni, senza sosta, senza confine,
Io pizzico le corde dell’Eternità,
Come il salice, con lo sguardo fisso lontano.
1915
* * *
Ho rivolto al cielo una preghiera:
Dio, Dio, ferma questo sangue!
Ferma la discordia, consiglia,
Guarda i bambini e piangi.
Ma solo gli astri ho visto:
Ariete, Andromeda, Leone.
Solo i mari ondeggiavano,
E Dio pensava e il nettare beveva.
Ho rivolto al cielo un lamento:
Dio, Dio, non odo la tua voce!
Rispondi coi tuoni e col fuoco,
Nella bufera mostra che ci sei.
Ma solo l’avido occhio del silenzio
Nella morsa delle nubi ardeva.
Passavano i giorni e le notti cupe,
Ma Dio pensava e il nettare beveva.
Pastelli
I
E’ sfrecciato un leprotto.
Guarda stupito –
Albeggia!
Si siede, giocherella,
Apre gli occhi alle pratoline.
E ad est il cielo profuma.
I galli il nero manto della notte
Di fili di fuoco rivestono.
– Il sole –
E’ sfrecciato un leprotto.
II
Ha bevuto un buon vino
Il ferreo giorno.
Fiorite, o prati! –
: io vado – è giorno –
Pascolate, greggi! –
: dalla mia amata – è giorno –
Ondeggiate, o spighe!
: di giorno.
Ha bevuto un buon vino
Il ferreo giorno.
III
Una ninnananna di zufoli
Là dove il sole è tramontato.
In punta di piedi è scesa la sera.
Ha acceso le stelle,
Sull’erba ha steso la nebbia
E, accostato un dito alla bocca, –
Si è coricata.
Una ninnananna di zufoli
Là dove il sole è tramontato.
IV
Copritemi, copritemi:
Io sono la notte, una vecchia,
Malata.
Da secoli nei sogni
La mia nera strada.
Stendetemi un letto di menta,
E che il pioppo stormisca.
Copritemi, copritemi:
Io sono la notte, una vecchia,
Malata.
1917
L’aratro
Il vento.
Non il vento – la tempesta!
Abbatte, sradica, schianta…
Dietro le nere nubi
(con lampi e tuoni)
dietro le nere nubi un milione di milioni
di braccia muscolose.
Gira. E nella terra affonda
(sia città, strada o prato),
nella terra l’aratro…
E sulla terra persone, animali, giardini,
e sulla terra gli dei e le loro dimore:
oh passa, passa su di noi,
giudica!
E c’era chi fuggiva.
Nelle caverne, nei boschi, nei laghi.
– Quale forza sei tu? –
chiedevano.
E nessuno di loro gioiva, né cantava
(il vento spronava un focoso cavallo –
un focoso cavallo –
di notte).
E soltanto i loro occhi sbarrati e morti
rispecchiavano la bellezza del nuovo giorno.
Gli occhi.
1919
La bella Fornarina
Passeggia lungo il Tevere Raffaello
nel mese di luglio o di agosto.
– o azzurro, o sogno del cuore,
il mio amore è corrisposto? –
In lui il cuore martella. Ascolta:
in quel canto che tristezza!
– sì o no, tra gli scogli sola,
l’onda culla la barchetta –
Nel suo candido splendore
lei è sempre più vicina.
O fanciulla dimmi il tuo nome! –
(e lei timida): Fornarina.
Poi tace. Raffaello allora
le tocca le mani con bramosia.
Lei piange e lui nel suo abbraccio:
Madonna mia!
1921
Gira Faust…
Gira Faust per l’Europa
Col suo libro di orazioni,
Seminando le sue menzogne,
Prende in giro i semplicioni,
E chi incontra? : Prometeo.
– Salve, salve, portafuoco!
Sei ribelle come una volta?
Io lodarti non posso:
Si può mai con la rivolta
Allietare la povera gente?
I misteri del cielo io studio,
La filosofia è il mio pane,
Io soltanto con le cifre frugo
Nei fatti della morte e della fame.
Ma tu, tu, che fai?
Io ho nell’anima il cilicio,
La religione non schivo,
Non mi ribello, solo libri
E sempre scrivo, scrivo, scrivo,
Ma tu, dimmi, che fai?
Vuoi il mondo riformare?
Perché quel volto avvilito?
– Allora tu non sei Faust,
Ma un signore ben nutrito!
Oh se avessi qui un martello!
– Ah, ti ribelli? E sia pure,
Non sono Faust? – Lo sapevo già,
Bene, perdona, abbi pietà!
Gira Faust per l’Europa
Col suo libro di preghiere.
1923
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Fonte : https://musashop.wordpress.com/tag/poesia-ucraina/
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